Osservatorio Carcere: sovraffollamento in crescita in Calabria, soprattutto a Reggio
“Una politica giudiziaria, quella portata avanti dal Governo, all’insegna di un evidente sovradosaggio del diritto penale, sempre meno extrema ratio e sempre più strumento fondamentale per la raccolta dei consensi elettorali”.
È in sintesi quanto riportato in un documento, a firma della Camera penale “Alfredo Cantáfora” di Catanzaro, sulla base di una riflessione di Orlando Sapia, Responsabile dell’Osservatorio Carcere della stessa Camera.
Il sovraffollamento nelle carceri italiane - si legge infatti nel report - sarebbe in costante crescita. Il 31 gennaio scorso si è raggiunta la cifra di 60.125 presenze, a fronte di una capienza regolamentare di 50.500 (a cui bisogna togliere almeno altri 4600 posti non utilizzabili), con ciò segnando un tasso di sovraffollamento del 118,94%.
La realtà del sovraffollamento, per la quale l’Italia è stata condannata dalla Cedu nel 2013, per Sapia dunque “rende sempre più degradanti le condizioni di vita dei detenuti, in aperta violazione dell’art. 27 della Costituzione laddove prescrive che le pene non possono consistere a trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del reo”.
La situazione in Calabria – si evidenzia ancora documento della Camera penale – “è purtroppo in perfetta sintonia con la tendenza nazionale. Difatti, la maggior parte degli istituti penitenziari calabresi soffre la triste realtà del sovraffollamento. Se la situazione più grave è sicuramente rappresentata dalla casa circondariale “Panzera” di Reggio Calabria, in cui il tasso di sovraffollamento è arrivato al 137,62 %, anche nella casa circondariale “Caridi” di Catanzaro, negli ultimi anni, si è registrata una notevole crescita della popolazione detenuta tanto da arrivare, nel corso del 2019, a toccare le 700 presenze!”.
Ciò nonostante, ribadisce Sapia, “l’attuale compagine governativa si è contraddistinta per avere incentrato la propria azione legislativa sul tema della sicurezza. Il decreto Salvini, successivamente convertito in legge, e la riforma in materia di prescrizione, che entrerà in vigore a partire dal 1/1/2020, sono atti legislativi che proseguono in un percorso caratterizzato da un evidente sovradosaggio del diritto penale, sempre meno extrema ratio e sempre più strumento fondamentale per la raccolta dei consensi elettorali”.
“Analizzando i dati statistici del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria – prosegue -, si scopre che la maggior parte dei detenuti sono stati condannati per reati contro il patrimonio o in violazione del testo unico sugli stupefacenti. Violazioni molto spesso di non grande grande allarme sociale e sicuramente connesse sotto il profilo causale a condizioni di povertà ed emarginazione sociale. In tale contesto, la recente riforma in materia di prescrizione, appena inizierà a produrre i propri effetti, comporterà un ulteriore aumento del contenzioso penale e del sovraffollamento carcerario”.
“Le ragioni giuridiche a sostegno della disciplina vigente in materia di prescrizione sono ampiamente conosciute: il principio della ragionevole durata del processo; il principio del venir meno dell’interesse dello Stato alla pretesa punitiva nei confronti dell’autore di un determinato reato, come conseguenza del trascorrere del tempo”.
“Tuttavia esiste un’ulteriore ragione – conclude l’avvocato - a difesa dell’istituto attualmente in vigore: in un contesto sociale, fatto di povertà crescente, e penitenziario, fatto di sovraffollamento carcerario, la prescrizione produce gli effetti di quei provvedimenti clemenziali, ovverosia amnistia e indulto, che per lungo tempo hanno consentito la gestione del sistema penale e penitenziario italiano e che oggi, purtroppo, la Politica, per non alienarsi il consenso elettorale, non ha alcuna intenzione di realizzare”.
“In questo contesto di ossessione securitaria, quindi, spetta all’avvocatura opporsi alle svolte giustizialiste e ribadire la necessità di realizzare quelle riforme non carcero-centriche, esistenti da anni come progetti di legge o deleghe legislative mai esercitate, e non ancora divenute realtà a causa di un sistema politico che sempre più utilizza “il governo della paura”.