‘Ndrangheta: boss ferito nel catanzarese, riesplode faida boschi
I killer che ieri sera hanno ferito a colpi di arma da fuoco il presunto boss di Davoli (Cz), Fiorito Procopio, volevano uccidere. Solo il caso - probabilmente anche la pioggia battente e il buio - ha salvato il sessantenne dalla morte, dal momento che e' stato solo ferito a un braccio. L'auto su cui viaggiava, una Fiat "Sedici", e con cui stava facendo rientro nella sua villa, nelle campagne tra Davoli e San Sostene, e' stata crivellata da colpi di fucile automatico. Stamattina i carabinieri della Compagnia di Soverato e gli uomini del Reparto investigazioni scientifiche sono tornati sul posto per controllare nuovamente il luogo dove e' avvenuta l'imboscata. Soprattutto alla ricerca di bossoli e di nuovi elementi che potrebbero essere utili alle indagini, a partire dall' individuazione delle armi utilizzate e dal numero di persone che componeva il commando. Nel corso della notte, invece, diverse sono state le perquisizioni domiciliari e gli esami stub nei confronti di soggetti che potrebbero essere coinvolti nella faida del Soveratese, nota come "Faida dei boschi", ma che punta in realta' al controllo di un territorio con imponenti flussi turistici e investimenti pubblici. Sempre nella serata di ieri, il presunto boss e' stato trasportato all'ospedale di Catanzaro, dove e' stato sottoposto a un intervento chirurgico per l' estrazione dell'unico proiettile che lo ha attinto al braccio. Procopio e' ora piantonato e le sue condizioni non destano preoccupazione. L'agguato al presunto boss, coinvolto in diverse inchieste antimafia, condotte sia dalla Dda di Catanzaro che da quella di Reggio Calabria, arriva sei mesi dopo l'omicidio del figlio. Agostino Procopio, 31 anni, sposato e padre di un bimbo, era stato freddato a colpi di fucile calibro 12, in condizioni molto simili a quelle in cui ieri e' stato ferito il padre. Stesso tipo di arma e stesso luogo, dal momento che anche il giovane stava facendo rientro nella casa del padre. Un omicidio, quello del trentunenne, che aggiunse un ulteriore tassello alla faida del Soveratese, dal momento che era stato colpito un esponente non di rilievo, con una sola inchiesta che lo aveva lambito. Forse un segnale al padre, considerato invece molto vicino alle cosche del Reggino, e reggente, secondo le indagini, della malavita di Davoli e San Sostene. L' intreccio con la provincia di Reggio Calabria, ma anche con quella di Vibo Valentia, e' un punto fermo delle indagini condotte dalla Dda, che muovono sulla rottura degli equilibri tra le cosche che stanno ridisegnando a colpi di arma da fuoco e con morti ammazzati, il panorama del controllo degli affari e del territorio.