Operazione Acquamala. Lo spaccio a Crotone “figlio” di una “joint venture” interprovinciale
“Un’associazione che vive in simbiosi con altre, tanto da avere influenza con altre organizzazioni criminali presenti a Catanzaro, Reggio Calabria e Cosenza, dove tra l’altro sono state operate numerose perquisizioni”.
Questo il profilo tracciato dal colonnello Alessandro Colella - comandate provinciale dei carabinieri di Crotone - del gruppo composto da soggetti di etnia rom che oggi è stato pesantemente colpito dalla scure della Dda di Catanzaro che, con l’arresto di 13 persone, ritiene di aver smantellato una delle più rilevanti reti dello spaccio di droga nella città pitagorica (QUI).
Un “rete” gestita integralmente da una delle famiglie stanziali nel “noto” quartiere Acquabona del capoluogo, un coacervo di case abusive, a completo controllo dei rom, dove l’avrebbe fatta da padrona - quanto appunto alla gestione degli stupefacenti - la famiglia Manetta, con a capo, così come ritengono gli investigatori, il 54enne Cosimo Manetta.
Nel corso della conferenza indetta a margine dell’operazione non a caso chiamata in codice “Acquamala” (QUI), gli inquirenti hanno spiegato come, difatti, proprio a casa di quest’ultimo, definito una sorta di “quartier generale”, si organizzasse la rete di spaccio; dove si tenevano insomma “dei veri e propri incontri dove venivano prese delle decisioni importanti per l’attività del sodalizio criminale”, ha tenuto a precisare il capitano Francesco Esposito, Comandante della Compagnia dell’Arma pitagorica.
Un particolare importante, questo, dato come lo stesso Esposito ha fatto notare come tali “decisioni” avessero poi effetti “su varie province della Calabria proprio a fini di mantenere dei canali di approvvigionamento” della droga: cocaina, eroina, marijuana e hashish che, come appurato, proveniva soprattutto dalle provincie di Reggio Calabria, Catanzaro e Cosenza.
LA “PRIMA NOTA CASSA”
Le stesse decisioni, inoltre, e questo appare come un altro elemento significativo dell’inchiesta di oggi, venivano accuratamente annotate su un libro mastro sul quale si riportavano i crediti ed i debiti dell’organizzazione.
Una contabilità, una sorta di “Prima Nota Cassa” per intenderci, che sarebbe stata tenuta da un’altra degli indagati, una donna, Roberta Manetta, di 26 anni, anche lei finita in carcere.
In pratica, potremmo azzardarne la definizione di “ragioniera” dell’organizzazione, a cui probabilmente nulla sarebbe sfuggito nella gestione contabile avendo sempre sott’occhio la “situazione amministrativa” della “struttura”: i debiti verso i fornitori dello stupefacente, così come i crediti dei “clienti” ed al netto i totali dei presumibili ricavi.
Un altro fattore che contraddistingue l’organizzazione, poi, e come spiegato sempre dal comandante Esposito, è quello dei ruoli specifici ricoperti all’interno della famiglia Manetta, come quello della donna appunto, ma anche l’utilizzo di giovanissimi minorenni, incaricati per lo più della consegna dello stupefacente ai clienti.
I RAGAZZINI E LE CONSEGNE DELLE DOSI
Consegna che nel tempo ha subito dei cambiamenti nel modus operandi, soprattutto per evitare i essere beccati con le mani nel sacco dalle forze dell’ordine.
Ovvero, come ha fatto notare il colonnello Colella, che avviene con un previo contatto da parte dell’acquirente verso uno spacciatore che non ha in quel momento e con sé la droga ma che ritira solo la somma di denaro. Successivamente ai il compito di portare al “cliente” la dose acquistata.
Una vendita che avveniva principalmente nei pressi degli istituti scolastici superiori che insistono nel quartiere Acquabona, “così da avere questa possibilità di movimento facilitata dalla vicinanza coi luoghi di occultamento della sostanza”, ha aggiunto il Comandante provinciale che ha voluto ribadire come gli acquirenti confluissero in quella zona non solo dalla città ma anche da tutta la provincia di Crotone.
LA “JOINT VENTURE”
Dal canto suo - e sempre nel corso della conferenza stampa - il procuratore aggiunto di Catanzaro Vincenzo Luberto, ha tracciato un profilo più dettagliato dell’inchiesta, parlando specificatamente del ruolo che negli anni i soggetti di etnia rom hanno assunto nella gestione dello spaccio della droga, e non solo a Crotone.
Luberto le ha difatti definite come delle associazioni che si caratterizzano “per i fortissimi legami familiari” che li rende “ancora più impenetrabili e forti nel vincolo omertoso cosiddetto ‘interno’, nel senso che sono assolutamente rare le collaborazioni da queste associazioni”.
Associazioni, poi, che non sono più relegate in un ruolo marginale e subalterno, “nel senso - ha aggiunto il magistrato - che non si limitano soltanto allo spaccio dello stupefacente o alla gestione dei cosiddetti ‘cavalli di ritorno’ (il furto di auto con richiesta di riscatto, ndr).”
L’ORGANIZZAZIONE INTERPROVINCIALE
Questa indagine, difatti, avrebbe dimostrato quanto siano importanti i canali di approvvigionamento della droga che i rom riescono a gestire. Nel caso dell’odierna operazione, per esempio, uno di questi avveniva grazie anche ai contatti con una delle principali cosche del reggino, i Raso di Rizziconi.
Elemento che, sempre secondo Luberto, dimostrerebbe come si sia creata una sorta di joint venture per l’acquisto dello stupefacente, ovvero che vi sarebbero più famiglie di ‘ndrangheta “che mettono insieme i capitali che poi servono per l’acquisto di più chili di cocaina”.
Non è un caso difatti che nell’inchiesta siano coinvolti soggetti che sono ormai preposti ad organizzazioni criminali rom stanziali anche a Catanzaro.
“Non si tratta di cellule operative isolate ma c’è un’organizzazione interprovinciale dei rom che li caratterizza come associazioni assolutamente uguali a quelle ‘ndranghetiste”, ha puntualizzato infine Luberto.
LO SPACCIO “SUBAPPALTATO” AI ROM
Un punto sull’inchiesta, infine, è stato quello del procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri che parlando dell’indagine, ed elogiando la professionalità dei carabinieri crotonesi, ha voluto sottolineare come spesso le operazioni contro lo spaccio di stupefacenti possano essere ritenute “inferiori” rispetto alle grandi inchieste contro la ‘ndrangheta.
Il “piccolo” (si fa per dire) spaccio in città a volte sarebbe considerato quasi come irrilevante ai fini della lotta al traffico di stupefacenti.
“Non è così” ha sbottato infatti Gratteri anticipando chi possa definire questa come una “indagine di poco conto” perché riferita ad una organizzazione di carattere provinciale.
Indagine che secondo il capo della Dda è importante “per la non conoscenza ai più di quello che vuol dire l’uso in particolare della marijuana”
Gratteri ha innanzitutto spiegato come la ‘ndrangheta, ormai da almeno 20 anni, e in tutta Italia, non si occupi più dello spaccio, “subappaltato” in Italia, invece, ad organizzazioni nordafricane, e in Calabria proprio ai rom che sono “specializzati nella vendita davanti alle scuole”.
I PERICOLI DELLA MARIJUANA GENETICAMENTE MODIFICATA
Elemento quest’ultimo che il procuratore definisce poi allarmante “perché nel momenti in cui si vende droga davanti alle scuole non solo si rovina quel ragazzo (l’acquirente e utilizzatore, ndr) ma rovini un’intera famiglia”.
“Si continua a dire, mi auguro per ignoranza e non per malafede, anche da parte di gente apparentemente colta – ha proseguito Gratteri - che la marijuana non faccia male o che non abbia nulla a che vedere con la cocaina ed eroina”.
“Intanto - ha sbottato - dobbiamo dire che non esiste sul piano scientifico una droga leggera ed una pesante, anche se la legge in materia parli di tabelle (riferite agli stupefacenti più o meno pericolosi, ndr)”.
Il procuratore si riferisce in questo senso al principio attivo (il Thc) contenuto nella marijuana consumata negli ultimi anni e che dimostrerebbe come quella che si produce e consuma oggi “non ha nulla a che vedere con quella che veniva prodotta nel periodo dei figli dei fiori”, ha ribadito Gratteri evidenziando come la marijuana degli anni ‘60 e ‘70 “non esista più”.
“Ciò perché la stessa - ha proseguito - è oggi modificata geneticamente per resistere agli agenti atmosferici ed ha un principio attivo molto più alto che si avvicina a quello della cocaina”.
Ecco perché Gratteri ha ribadito come siano importanti inchieste come quella conclusasi oggi e che il procuratore ha invitato gli investigatori locali a proseguire ed incrementare.