Commissione lavoro. Di Iacovo: “protocollo comune per sconfiggere il caporalato”
“Una grossa quota di immigrati è impegnata in agricoltura, settore in cui i salari reali risultano spesso inferiori a meno della metà di quelli contrattuali, e le condizioni di lavoro sono caratterizzate il più delle volte dalla violazione delle più elementari norme di sicurezza e di garanzia, che produce anche morti ed infortuni sul lavoro”.
Dati su cui riflette Benedetto Di Iacovo Presidente della Commissione Regionale per l’Emersione del Lavoro non Regolare e che presto verranno inseriti nell’XI rapporto sull’economia sommersa e il lavoro non Regolare.
“La presenza di immigrati è maggiormente concentrata nei lavori in cui le condizioni sono più dure, ove si richiede maggiore sforzo fisico, resistenza e disponibilità a straordinari o turni di notte, e nei quali è maggiore la nocività e più alti sono i rischi di infortunio. In Puglia, Calabria, Lazio e Sicilia come in altre regioni Italia, nell’ultimo decennio si sono formati dei veri e propri “ghetti” fatti di baracche, in cui vivono migliaia di braccianti stranieri”.
“Spesso – continua Di Iacovo -sono sorti a ridosso delle vecchie borgate agricole disabitate, altre volte sono sorti spontaneamente. I più noti sono il Gran ghetto di Rignano Garganico, dove vivono un migliaio di braccianti africani, ma ce ne sono almeno altri sei o sette mila in tutta la provincia di Foggia, il comprensorio della Sibaritide dove si stimano almeno 10mila irregolari e la Piana di Gioia Tauro dove almeno 5mila immigrati sono impegnati nella raccolta degli agrumi, la provincia di Latina interessata da importanti inchieste negli ultimi mesi e la provincia di Trapani dove sindacati e prefettura hanno istituto nel 2017 un tavolo tecnico per trovare soluzione al fenomeno attraverso il sistema del collocamento pubblico, contrastando il lavoro nero”.
“La caratteristica comune di questi contesti è che tutti lavorano sotto caporale. Sono i nuovi “suprastanti”, sui loro cellulari che d’estate diventano bollenti, a mediare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro nell’agricoltura del ventunesimo secolo. Sono loro a fornire ai proprietari terrieri squadre di lavoro “disciplinate” i cui membri accettano di lavorare per meno di venti euro al giorno (2 euro l’ora per 10 ore di lavoro). Alcune volte anche le componenti più deboli del mercato del lavoro italiano sono coinvolti in questo meccanismo. Con ciò si spiega l’indisponibilità dei disoccupati locali ad offrirsi per lavori del genere - avanza la nota…Ma l’approccio a questo problema non può essere solamente repressivo. Il sistema su cui si basa il caporalato è un sistema di convenienze congiunte che non può essere scardinato se non si muovono all’unisono tutti gli attori coinvolti. Perché a ben guardare - evidenzia il Presidente Di Iacovo - la causa scatenante di tutto il fenomeno sta a monte e coincide con il basso livello di prezzi dei prodotti agricoli sul mercato della grande distribuzione”.
Per il presidente occorre “formulare un patto sociale che coinvolga in un protocollo di legalità tutte le imprese della filiera, il tutto accompagnato da una campagna di sensibilizzazione dei consumatori che ovviamente, se correttamente informati, saranno disposti ad un leggero aumento del prezzo dei prodotti in cambio di qualità e di sicurezza. È necessario che questo input parta dalle associazioni di categoria. La Commissione Regionale per l’Emersione del Lavoro non Regolare si farà promotrice nelle prossime settimane- conclude la nota; subito dopo le elezioni regionali, presso le altre organizzazioni del settore della proposta e della implementazione di questo protocollo di legalità, coinvolgendo le istituzioni e gli Enti di Vigilanza, a tutti i livelli”.