Alla frontiera con assegno da 100mln. Zinnà: nessun riciclaggio, il TdR lo conferma
La vicenda parte intorno alla fine dell’anno scorso quando alla dogana di frontiera di Maslianico, nel comasco, alle porte con la Svizzera, su un’auto viaggiavano delle persone trovate poi in possesso di un “assegno” da 100 milioni di euro ritenuti di dubbia provenienza (QUI).
Al volante vi era Giuseppe Zinnà, di San Calogero, nel vibonese, e insieme a lui un iraniano Ghazvini Alì Khanniarak: era quest’ultimo ad avere con sé il “titolo”, emesso dal Credit Suisse di Ginevra, mentre il vibonese era in possesso di una documentazione relativa ad un contratto.
Le fiamme gialle allora si concentrarono anche su quest’ultimo, stipulato fra l’iraniano e il vibonese, e relativo ad un presunto pagamento di 14 milioni e mezzo di euro che sarebbe dovuto avvenire all’atto dell’incasso dell’assegno.
Gli inquirenti, così, sequestrarono il tutto: si sospettava, insomma, che dietro quell’assegno e quell’accordo vi potesse essere un qualche riciclaggio di denaro sporto tra la Calabria, magari della criminalità locale, e la Confederazione Elvetica.
Una ipotesi, però, a cui si è opposto strenuamente lo stesso Zinnà che su quant’accaduto ha voluto fosse fatta chiarezza, spiegando alla nostra testata innanzitutto come quel “super” assegno, fosse - a suo dire - solo “un pezzo di carta”, un cosiddetto “titolo bitcoin”, così come che all’epoca non sarebbe stata la Guardia di Finanza a controllare la loro auto - come raccontato dalle cronache giornalistiche - quanto invece che fu lo stesso vibonese a fermarsi alla dogana avendo qualcosa da dichiarare, ovvero di avere con se la documentazione poi sequestrata.
Quanto a quest’ultima, ha spiegato ancora Zinnà, si sarebbe riferita ad una sorta di contratto per una joint venture, con la quale l’iraniano sarebbe dovuto entrare in un progetto per la realizzazione di un software, in pratica un gioco da inserire su delle piattaforme online internazionali.
In questo “accordo”, ci ha tenuto a sottolineare lo stesso vibonese, egli avrebbe avuto solo un ruolo di procacciatore d’affari, riscuotendo, qualora il tutto fosse andato a buon fine, una piccola percentuale, intorno all’1 per cento sulla metà di quei 14 milioni di cui accennavamo prima, dunque di circa 75 mila euro.
Da qui i guai per Zinnà. Come accennavamo, fermatosi alla dogana per dichiarare quanto avesse in auto, ne scaturì una serie di accertamenti eseguiti dalle fiamme gialle. Il fatto poi che in passato lo stesso uomo avesse avuto un precedente, avrebbe complicato ancor più la faccenda.
La documentazione, al tempo, fu tramessa subito alla Procura competente, che poi applicò la misura del sequestro. Ricorso al Tribunale del Rieame, però, quest’ultimo si determinò ribadendo come l’assegno “incriminato” non avesse alcun valore ed escludendo le ipotesi di reato tanto di riciclaggio che di ricettazione contestate agli indagati, che tra l’altro - nonostante quanto riportato sempre all’epoca dai mezzi di informazione - non furono sottoposti ad alcun provvedimento restrittivo.