‘Ndrangheta, maxi frode a Milano. Il clan puntava ai fondi Covid

Crotone Cronaca

Associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale, aggravata dal metodo mafioso e dalla disponibilità di armi, e autoriciclaggio, intestazione fittizia di beni e bancarotta.

Queste le accuse contestate a 8 persone arrestate questa mattina dai militari del Nucleo di polizia economico finanziaria della guardia di finanza di Milano, in un'inchiesta della Dda contro la ‘ndrangheta e denominata operazione Hubanero.

Quattro persone sono finite in carcere e altrettante ai domiciliari mentre le Fiamme gialle hanno anche messo i sigilli a diversi beni, tra cui aziende e disponibilità finanziarie per 7,5 milioni di euro.

Duecento militari stanno eseguendo poi 34 perquisizioni locali e notificando l’avviso della conclusione delle indagini nei confronti di 27 indagati, il tutto con il supporto dei Reparti del Corpo territorialmente competenti in Lombardia, Veneto, Toscana, Umbria, Lazio, Calabria e Sicilia.

Nell'indagine della distrettuale antimafia, con il procuratore aggiunto Alessandra Dolci e il pm Bruna Albertini, la tributaria ritiene di aver svelato la presenza della ‘ndrangheta nel tessuto economico lombardo.

LA FRODE ALL'IVA

L'inchiesta metterebbe in luce quella che gli inquirenti hanno definito come “una complessa frode all'Iva nel settore del commercio di acciaio” con fatture false e attraverso società “cartiere” e “filtro”, anche all'estero, intestate a prestanome.

Gli inquirenti hanno infatti scoperto l’esistenza di diverse imprese, italiane ed estere, apparentemente prive di reciproci legami societari, e che si ritiene siano state usate per la frode all’Imposta sul valore aggiunto.

Una frode veniva messa in atto appunto emettendo ed utilizzando di fatture per operazioni inesistenti, costituendo fittiziamente il plafond Iva previsto per i cosiddetti “esportatori abituali”, manipolando artificiosamente le liquidazioni periodiche dell’imposta.

IL CONTROLLO DEL CLAN GRECO

Le imprese sarebbero state, tuttavia, gestite da presunti affiliati al clan che fa capo a Lino Greco, una “cosca federata” a quella di Cutro che fa capo ai Grande Aracri.

Tra le accuse è stata contestata anche quella dell’autoriciclaggio di mezzo milione di euro attraverso conti anche in Inghilterra e Bulgaria.

All’interno di questo meccanismo, gli indagati avrebbero riciclato altre risorse considerate di provenienza illecita avvalendosi della collaborazione di un uomo cinese residente in Toscana, concorrente nel reato, a sua volta interessato a riciclare importanti somme di denaro in contante e ad inviarle in Cina.

In particolare si sarebbe “bonificato” il mezzo milione di euro dai conti correnti di alcune società inserite nello schema di frode e diretti ad istituti di credito cinesi, messi a disposizione dallo stesso soggetto, anch’egli attinto dalla misura restrittiva.

Da un lato questa operazione avrebbe consentito agli indagati italiani di drenare denaro dai conti correnti delle società oggetto di investigazione e, dall’altro, al soggetto cinese di trasferire nel proprio Paese d’origine le riserve di contante di cui disponeva illecitamente e che non avrebbe potuto inviare attraverso i canali legali.

I FONDI COVID

Secondo l’accusa, uno degli affiliati alla cosca avrebbe presentato e ottenuto per tre società, che avrebbero partecipato alla frode, i contributi a fondo perduto per l'emergenza Coronavirus del decreto legge 34 del 19 maggio 2020.

E non solo, perché il “sodalizioavrebbe inoltre tentato di ottenere, e ne era stata fatta richiesta, i finanziamenti per il sostegno alle imprese dovute alla crisi del Covid previsti dal decreto legge 23 dell'8 aprile 2020.