Frode sulle fonti rinnovabili, sequestrati nel crotonese 14milioni: sei gli indagati
Secondo gli inquirenti avrebbero truffato il Gse, il Gestore dei Servizi Energetici, ottenendo ingiustamente oltre 14 milioni di euro di incentivi pubblici, in un periodo compreso tra il 2011 ed il 2018, per la produzione di energie da fonti rinnovabili.
Questo quanto sostengono i finanzieri di Crotone che stamani, su ordine del Gip di Catanzaro, Pietro Carè, ha eseguito sei misure cautelari: il divieto di dimora ad Isola di Capo Rizzuto e l’interdizione dall’esercizio dell’attività professionale per un anno, nei confronti della proprietaria (Antonella Stasi, di 55 anni), del rappresentate legale (Anna Crugliano, di 47) e due dipendenti amministrativi (Francesco Carvelli, di 57 anni e Salvatore Succurro, di 42) di una società agricola della popolosa cittadina del crotonese; e l’obbligo di presentazione quotidiana alla polizia giudiziaria per altre due (Antonio Muto di 58 anni e Raffaele Rizzo di 50).
Il Giudice, in relazione alla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, ha disposto poi il sequestro preventivo, anche per equivalente, degli oltre 14 milioni, ritenuti “il profitto del reato” conseguito dalla stessa azienda.
I provvedimenti arrivano al termine di una complessa indagine, coordinata dal Procuratore Nicola Gratteri e diretta dai Sostituti Paolo Sirleo e Domenico Guarascio, che avrebbe fatto emergere una presunta associazione per delinquere, al vertice della quale si ritiene vi fossero i proprietari della società agricola coinvolta.
L’obiettivo sarebbe stato quello di ottenere incentivi pubblici erogati dal Gse. Scopo degli inventivi è infatti quello di sostenere economicamente le imprese che producono energia da fonti alternative, con il duplice effetto, da un lato, di minimizzare la produzione di residui nocivi per l’ambiente e, dall’altro, di impiegare utilmente i residui di lavorazione sottraendoli alla filiera dei rifiuti.
Un presupposto necessario per ottenerli è però il rispetto rigoroso della legge, sia in punto di allestimento dell’impianto di produzione dell’energia che di concreto funzionamento dello stesso.
È in questo contesto che si inserisce il presunto meccanismo di frode attuato dagli indagati. In pratica, presentando la al Gse dati non veritieri, sia nella fase di progettazione e costruzione dell’impianto di biogas (ubicato a Isola Capo Rizzuto), che in quella di utilizzo dello stesso, avrebbero permesso alla società di ottenere indebitamente l’importante somma.
Gli approfondimenti investigativi, eseguiti anche con attività di osservazione e di pedinamento dei mezzi aziendali, avrebbero portato a verificare anche l’utilizzo di biomasse di origine animale e vegetale in difformità alla normativa di riferimento, in particolare il Regolamento Comunitario 1069 del 2009 ed il Decreto legge 152 del 2006, con la conseguente qualificazione delle stesse come rifiuto e pertanto non più utilizzabili nel ciclo di produzione di energia pulita.
Numerosi, poi, gli episodi di sversamento nelle campagne isolitane del prodotto derivante dalla produzione di Biogas, il cosiddetto digestato, in assenza di un Piano di Utilizzazione Agronomica.