Dal “cippato” loffio alla frode al Gse: tutti i business della “locale” di Mesoraca
C’è la sintesi di otto anni di indagine nell’inchiesta che stamani ha portato all’arresto di 31 persone, di cui 27 finite in carcere e 4 ai domiciliari (QUI i NOMI).
Otto anni in cui le investigazioni dei carabinieri di Crotone, aiutati dai colleghi di Petilia, si sono concentrate fondamentalmente sulla “Locale” di ‘ndrangheta di Mesoraca, popoloso centro dell’entroterra della provincia pitagorica.
Intercettazioni telefoniche, servizi di osservazione, finanche una videosorveglianza remotizzata di luoghi, ma anche accertamenti documentali sono stati utilizzati per tracciare un quadro indiziario poi avvalorato dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia.
Un quadro che, almeno secondo gli inquirenti, avrebbe messo in luce l’operatività della locale, i suoi elementi “strutturali” ed i suoi collegamenti con le omologhe organizzazioni criminali del crotonese e anche di alcune del reggino e cosentino.
Si sarebbe fatta luce inoltre su una serie di presunti reati come le estorsioni ad imprenditori e commercianti, la concorrenza illecita nell’attività commerciale e la turbativa di gare e appalti pubblici.
Tra i business della cosca, poi, non poteva certo mancare il narcotraffico, grazie al controllo esercitato sulle piazze di spaccio di Mesoraca e Petilia Policastro: tant’è che numerosi sono stati i sequestri eseguiti nel corso delle indagini.
Ma nel quadro degli accertamenti i militari hanno anche sequestrato armi che erano evidentemente nella disponibilità dell’organizzazione criminale.
Si è, ancora, giunti ad ipotizzare la ricorrenza di interessi illeciti nell’imponente indotto economico costituito dall’area boschiva silana delle province di Crotone e Catanzaro.
In questo contesto - sostengono infatti gli inquirenti - alcuni dei presunti esponenti del sodalizio sono risultati essere i titolari di aziende del settore, che operano nel taglio e nella lavorazione del legno, da conferire, successivamente, alle centrali a biomasse di Crotone e in particolare a quella di Cutro.
Ed è proprio su quest’ultimo ambito che le investigazioni dei carabinieri pitagorici hanno poi trovato convergenza in quelle condotte contemporaneamente dai loro collegi del Ros e dal Nipaf.
L’INCHIESTA STIGE
Quest’ultimi, difatti, avevano avviato inizialmente degli accertamenti integrativi di riscontro su quanto acquisito nel corso di un’altra importante inchiesta, l’operazione “Stige” (QUI), elementi che hanno trovato delle prime conferme nelle condanna del relativo processo.
Si tratta di riscontri relativi agli interessi della “Locale” di Cirò (sempre nel crotonese) nel settore dello sfruttamento del patrimonio boschivo silano (QUI), e portati avanti con la realizzazione di una serie sistematica di condotte illecite.
In particolare, in base a quanto riferito dai collaboratori di Giustizia, e confermato dalle indagini tecniche, queste ulteriori investigazioni si erano concentrate alla fine su alcuni imprenditori e soggetti reputati contigui alla “Locale” di Mesoraca, su cui vi erano indizi che portavano a ritenere potessero appartenere ad una associazione per delinquere che trafficava illegalmente rifiuti e che fosse coinvolta in una frode al Gse, il Gestore del servizio elettrico nazionale.
IL MONOPOLIO
In particolare, l’ipotesi degli inquirenti è che i sospettati operassero sostanzialmente in monopolio per effettuare sistematicamente dei tagli boschivi non autorizzati, difformi e comunque pericolosi per l’ambiente, e poi conferendo alle centrali biomassa calabresi un prodotto legnoso, il cosiddetto cippato, non tracciabile o comunque di qualità non in linea con gli standard di legge e pertanto da considerarsi a tutti gli effetti un rifiuto.
Un “sistema” che si ritiene sia stato favorito anche dal contributo di tecnici agronomi, operatori e funzionari delle stesse centrali biomassa che avrebbero invece dovuto controllare la qualità del prodotto e la regolarità delle documentazioni di accompagnamento dello stesso.
Il tutto avrebbe assicurato così un guadagno non solo alle imprese boschive considerate come collegate alle organizzazioni criminali, ma anche alle società che gestiscono le centrali che percepivano dal Gse incentivi maggiorati e basati su dei conferimenti di cippato non in regola: ovvero scadente o procurato tramite il taglio non autorizzato.
I SEQUESTRI
Contemporaneamente all’esecuzione degli arresti, è stato eseguito un sequestro preventivo del valore di circa 16 milioni di euro e che ha colpito otto imprese boschive del crotonese e quattro del cosentino. Tra queste vi è anche quella proprietaria della centrale biomasse di Cutro.
Si tratta, in particolare, della F.K.E. Legnami di Mesoraca; la Società Agricola Boschiva Serravalle di Petilia Policastro (KR); la Serravalle Legnami di Petilia Policastro (KR); la Serra Valle Energy di Petilia Policastro; la Industria Boschiva SERRAVALLE Domenico di Mesoraca; la Dgs Legnami di Mesoraca; la Serravalle Domenico di Mesoraca; la F.lli Spadafora di San Giovanni in Fiore (CS); la Industria Boschiva Spadafora Pasquale di San Giovanni in Fiore (CS); la Spadafora Legnami di San Giovanni in Fiore (CS); la Euromeridiana di Rogliano (CS); e la Serra Valle Carmine di Mesoraca.
LE ACCUSE
Agli indagati si contestano a vario titolo i reati di associazione per delinquere di matrice mafiosa, concorso esterno nella stessa, estorsioni aggravate dal metodo mafioso, associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, truffa ai danni del Gestore del Servizio Energetico nazionale (GSE), truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche, indebita percezione di quest’ ultime, omessi controlli e vigilanza sulle attività d’impresa, turbata libertà degli incanti, concessione di sub appalti senza autorizzazione, frode in pubbliche forniture, falso in atto amministrativo, illecita concorrenza in attività commerciale, intestazione fittizia dei beni, furto aggravato, associazione per delinquere finalizzata al traffico, alla produzione ed allo spaccio di stupefacenti, con l’aggravante di essere un’associazione armata.
L’OPERAZIONE
L’operazione è stata condotta dai Carabinieri del Comando Provinciale di Crotone, insieme a quelli del Ros e del Nipaf di Cosenza, che hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Catanzaro, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia.