‘Ndrangheta. I “Ti mangiu” e la cappa sul quartiere Gebbione, schiaffo ai Labate: 6 arresti

Reggio Calabria Cronaca

Il controllo indiscusso del quartiere Gebbione. Le influenze della cosca dei “Ti Mangiu” anche sulle aziende di onoranze funebri, costrette in qualche caso ad assumere personale o, in altri, a pagare forzatamente dei fornitori comuni non potendosi rifiutare di rimettere i propri debiti anche a rate mensili stabilite da qualcun’altro.

E, poi, l’assoggettamento alla figura apicale, al capo, tanto da correre subito, come nel caso ipotizzato a carico di una dipendente comunale, per riferirgli che a breve la Prefettura gli avrebbe notificato una interdittiva antimafia, notizia questa su cui vige il segreto d’ufficio.

O un ingegnere che sentendosi minacciato decida di non “fidarsi” delle forze dell’ordine e che invece di denunciare l’accaduto si sarebbe “affidato” al presunto boss del quartiere, ritenendosi così più al sicuro.

Questo lo spaccato che emergerebbe dall’inchiesta chiamata in codice “Cassa Continua”. Stamani il blitz. I Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria, sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia, diretta dal Procuratore Giovanni Bombardieri, hanno eseguito così sei arresti (4 in carcere e 2 ai domiciliari) con tanto di sequestro nei confronti degli indagati, una misura interdittiva personale che prevede la sospensione per un anno di un dipendente pubblico, e un sequestro preventivo delle quote di partecipazione e di tutti gli elementi presenti nel patrimonio aziendale di una impresa di onoranze funebri, la “Croce Amaranto” del capoluogo.

GLI ARRESTATI

I quattro, tutti di Reggio, che sono finiti in carcere, sono Pietro Toscano, 67enne; Paolo Falco, 50enne; Antonio Laurendi, 64enne; e Francesco Toscano, 41enne.

Ai domiciliari, invece, Massimiliano Latini, 44enne nato a Lodi e Vincenzo Laurendi, 31enne. Sospesa per un anno dall’esercizio di pubblico ufficiale o servizio Antonia Messina, 66enne dipendente del Comune della città dello Stretto.

I PRODROMI DELL’INDAGINE

L’indagine - condotta dalla Compagnia dell’Arma del Capoluogo - è iniziata nel 2017 e dall’arresto di Francesco Toscano, avvenuto il 16 giugno di quell’anno dopo il ritrovamento di armi d’assalto, anche da guerra, e del relativo munizionamento (QUI).

Da allora si avviarono delle intercettazioni telefoniche e ambientali e si acquisirono atti che avrebbero portato ad accertare la riconducibilità di quelle armi ad un più ampio gruppo di persone, storicamente inserite nella “cosca Labate”, conosciuta anche con il nome di “Ti Mangiu”, e che ha il controllo della zona di Gebbione a Reggio Calabria.

Gli elementi raccolti durante le investigazioni, poi, racchiudono ed attualizzano le risultanze anche di altre inchieste, come quelle denominate “Bumma”, “Roccaforte” ed “Eterna”, e le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, e hanno permesso di ipotizzare una serie di reati.

Tra questi quello di associazione mafiosa: l’ipotesi è infatti che gli indagati facessero parte “stabilmentedella 'ndrangheta, in particolare proprio dei Labate: Pietro Toscano, quindi, della presunta associazione ne sarebbe stato il promotore, dirigente ed organizzatore, con compiti direttivi e dando indicazioni operative agli altri presunti associati.

Laurendi ne sarebbe stato invece un partecipe e stretto collaboratore di Toscano, aiutandolo nei suoi compiti. Francesco Toscano, anch’egli è ritenuto un partecipe e collaboratore di Pietro Toscano ma anche di Antonio Laurendi, eseguendone le direttive.

Stessa contestazione mossa anche a Paolo Falco, considerato un collaboratore di Pietro e Francesco Toscano e di Laurendi.

Quanto poi a Pietro Toscano gli viene contestato anche il reato di estorsione aggravata: la tesi è che sottintendendo e prospettando delle ritorsioni in caso di un rifiuto, avrebbe costretto un imprenditore - un familiare di Anita Repaci, compagna di Filippo Chirico, presunto reggente della cosca Libri, entrambi già condannati l’11 giugno del 2019 e rispettivamente ad oltre 13 e 20 anni di reclusione nell’ambito dell’operazione Theorema-Roccaforte (QUI) - ad assumere e retribuire una donna non ancora identificata.

Una fatto questo che - secondo gli inquirenti - avrebbe dunque messo in evidenza il ruolo di primo piano che Pietro Toscano, già dal 2014, rivestisse nella cosca Labate.

Un ruolo tale da potere sottoporre ad estorsione - in nome della stessa congrega - un esercizio commerciale riconducile a Filippo Chirico, reggente dei Libri, essere riconosciuto da questi come referente dell’organizzazione di Gebbione.

L’ESTORSIONE ALLE ONORANZE FUNEBRI

Altra contestazione che gli si muove è quella della detenzione illegale di una pistola, di calibro e marca non precisata, fatto avvenuto intorno al giungo del 2017 ma anche una tentata estorsione aggravata.

L’ipotesi è che insieme a Paolo Falco avrebbe messo in atto delle azioni per costringere un imprenditore nel settore delle onoranze funebri a farsi pagare una rata mensile per estinguere un debito di 20 mila euro contratto con un fornitore comune di casse funebri. La vittima però di rifiutò ed anzi denunciò l’accaduto.

Secondo gli investigatori, Falco si sarebbe recato nell'agenzia intimando all’imprenditore di andare da Toscano in quanto questi gli avrebbe voluto parlare.

Alla presenza del fornitore comune, Toscano gli avrebbe così chiesto di versare una rata di 500 euro al mese, fino all'estinzione del debito.

Alla scadenza del termine per il pagamento della prima rata, Falco sarebbe tornato di nuovo nell’agenzia concorrente minacciando delle gravi ritorsioni per la sua attività se non avesse pagato quanto richiesta: vedi che ha detto Pietro che, se non vai e gli porti i soldi, viene e ti prende l'ufficio a martellate!”, avrebbe intimato lo stesso Falco.

A questi fatti ne sarebbe seguito, a distanza di circa 20 giorni, l’incendio dell'agenzia da parte di ignoti che fecero esplodere un bidone pieno di liquido infiammabile. Un fatto che risale al 2012.

Altri due reati ipotizzati sono quelli di concorrenza illecita e quello di concorrenza illecita aggravata. In entrambi i casi, Toscano, come titolare di fatto delle onoranze funebri “Croce Granata”, e sempre insieme a Falco, persona di fiducia ed alle sue dipendenze, avrebbe minacciato altri due imprenditori concorrenti.

LE ARMI A DISPOSIZIONE DEL GRUPPO

Gli investigatori poi contestano la detenzione di armi, anche aggravata dalle modalità mafiose. In particolare, insieme ad Antonio Laurendi e Francesco Toscano avrebbe detenuto illegalmente una pistola mitragliatrice a funzionamento automatico, con due caricatori; proiettili cal. 9x21; cal. 7.62 Nato; un fucile a carabina cal. 22; un’altra carabina; un fucile mitragliatore d'assalto, con la matricola abrasa e relativo caricatore; e una pistola mitragliatrice automatica con due caricatori.

Inoltre si ipotizza la ricettazione aggravata dalle modalità mafiose perché, sempre insieme a Laurendi e Toscano, si sarebbero acquistate o ottenute queste armi clandestine o, comunque, non commercializzabili.

L’AZIENDA INTESTATA AI SODALI

Infine, si contesta il trasferimento fraudolento di valori. In concorso con Paolo Falco, Francesco Toscano e Antonio e Vincenzo Laurendi, si sarebbe attribuita fittiziamente dapprima a Francesco Toscano e dopo a Vincenzo Laurendi la titolarità dell’impresa di onoranze funebre, nascondendone così l'effettiva titolarità di Pietro Toscano e Antonio Laurendi, considerati soci di fatto e finanziatori dell’attività.

Inoltre, si sarebbe dissimulata la percezione, da parte degli stessi, degli utili delle attività economiche e dall'incremento di valore dell'azienda.

In particolare, a Francesco Toscano si sarebbe intestata la titolarità della “Croce Granata” (attiva dal gennaio 2004 all’ottobre del 2017), destinataria di una interdittiva antimafia emessa dalla Prefettura di Reggio Calabria il 13 ottobre 2017.

Successivamente, il 17 ottobre dello stesso anno, l’azienda sarebbe stata invece intestata a Vincenzo Laurendi dopo averla mutata in “Croce Amaranto” e trasferendo in quest’ultima il patrimonio complessivo di quella precedente.

Gli inquirenti sostengono quindi che Paolo Falco, si sarebbe occupato del disbrigo di tutte le pratiche amministrative per l'apertura della “Croce Amaranto” di Vincenzo Laurendi, così da non esporre i reali titolari e mantenendo i rapporti con i dipendenti del Comune di Reggio per ottenere informazioni riservate sul buon esito della procedura.

Toscano avrebbe poi pianificato con Pietro Toscano e Antonio Laurendi le accortezze da adottare per sviare le indagini ed eludere i controlli delle forze dell’ordine e provveduto a tutte le incombenze necessarie per nascondere la titolarità reale.

Quando al trasferimento fraudolento di valori, si ritiene sia aggravato dalle modalità mafiose perché si attribuì fittiziamente ad un altro indagato la titolarità della ditta individuale attiva come “bar e sala giochi” (dove aveva sede il circolo ricreativoReggina di Cuori”, di cui Pietro Toscano ne sarebbe stato il socio fondatore), nascondendone però l'effettiva proprietà di Toscano, finanziatore dell'iniziativa, e dissimulando la percezione degli utili da parte di questi.

Inoltre a Francesco Toscano, figlio di Pietro, viene contestato il reato di detenzione, in concorso con Massimiliano Latini, di stupefacente ai fini di spaccio, avendo nella sua disponibilità un quantitativo non precisato di cocaina.

I “SUGGERIMENTI” DELLA DIPENDENTE DEL COMUNE

A carico di Antonia Messina, dipendente del Comune di Reggio Calabria, si ipotizza invece la rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio, aggravata dalle modalità mafiose.

La tesi è che abbia riferito Pietro Toscano notizie segrete che la stessa avrebbe appreso nell'esercizio delle sue funzioni; in particolare, essendo a conoscenza della reale titolarità della “Croce Granata”, si sarebbe recata proprio nell’azienda per informare Toscano che la Prefettura aveva emesso poche ore prima una interdittiva antimafia, poi notificatagli il 30 novembre del 2017 presso la Casa Circondariale di Arghillà.

Contestualmente, essendo anche a conoscenza - per ragioni di ufficio - di una pendenza della procedura amministrativa per l'apertura della “Croce Amaranto”, avrebbe avvertito sempre Toscano del concreto pericolo di controlli sulla reale titolarità della dell’azienda e, conseguentemente, dell'emissione di una altra interdittiva, suggerendogli anche di adottare le dovute cautele.

500 MILIONI PER CORROMPERE UN GIUDICE

Di particolare interesse vengono reputate le risultanze emerse quindi su Pietro Toscano e la descrizione della sua presunta pericolosità” che - secondo gli investigatori - discenderebbe anche dai contatti privilegiati che lo stesso avrebbe vantato di possedere.

Ci si riferisce, in questo caso, e ad esempio, a quando egli stesso avrebbe affermato che un certo “Nino” gli avrebbe proposto 500 milioni delle vecchie lire per corrompere addirittura un giudice all’epoca in servizio presso il Distretto giudiziario di Reggio Calabria.

Infine, e sempre a tal fine, viene definito come “illuminante” un gesto compiuto dalla dipendente del Comune che non appena avrebbe appreso della notizia della emissione da parte della Prefettura della interdittiva nei confronti della “Croce Granata”, sarebbe andata immediatamente da Toscano per riferirglielo.

Gli inquirenti sostengono infatti che “benché la Messina non fosse legata al Toscano da alcun vincolo di parentela o amicizia, … si precipitava per comunicargli quanto appreso nell'esercizio delle sue funzioni.”

Come si avrà modo poi di costatare, la conversazione tra i due sarebbe stata caratterizzata “da un evidente senso di soggezione della donna e del maritoche si sarebbero addirittura scusati con Toscanoper il disturbo arrecatogli”.

Per gli investigatori, quindi, proprio da ciò si evincerebbe il riconoscimento di un ruolo di primo piano nella gerarchia criminale del quartiere dove la stessa Messina abitava.

L’INGEGNERE ASSOGGETTATO IN CAMBIO DI PROTEZIONE

Stessa cosa che emergerebbe nella vicenda che riguarda un ingegnere che in cambio della protezione mafiosa garantita da Pietro Toscano in merito ad un problema insorto con un suo cliente, si sarebbe messo a disposizione per il rilascio di autorizzazioni amministrative per l’imminente apertura della “Croce Granata”, non essendo ben chiaro se questo contributo consistesse nella predisposizione di elaborati tecnici o in altri tipi di agevolazione.

Ciò che maggiormente colpisce della vicenda è il presunto assoggettamento di un professionista che, sentitosi ingiustamente minacciato, piuttosto che denunciare il fatto alle competenti autorità, avrebbe preferito rivolgersi a Toscano, “conscio della forza intimidatrice che lo stesso avrebbe esercitato sul cliente”.

A sua volta, Toscano avrebbe così adottato la più tradizionale forma di espressione del carisma criminale, facendo sentire l'ingegnere un suo protetto e, al tempo stesso, in debito per l'attenzione ricevuta.

Le misure di oggi sono state emesse dal Gip Antonino Foti su richiesta dei Sostituti delle Dda Diego Capece Minutolo e Stefano Musolino.