Crolla la cupola dei “Ti Mangiu”: in manette boss e nuove leve. NOMI
Un terremoto al vertice della temuta cosca dei “Ti Mangiu”, ovvero la cerchia dei Labate: è questo ciò che si è rivelato l’operazione denominata “Helianthus”.
Ben 14 arresti, di cui due ai domiciliari, e il corposo sequestro di quattro aziende hanno colpito all’alba di oggi il clan - egemone sul territorio reggino ma ramificato su Roma, Cosenza, Udine e Livorno – a conclusione di complesse ed articolate indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, diretta dal Procuratore Giovanni Bombardieri.
Gli investigatori della 1^ Sezione Criminalità Organizzata e Catturandi della Squadra Mobile, con il concorso operativo degli equipaggi del Reparto Prevenzione Crimine e delle Squadre Mobili di Roma, Cosenza, Udine e Livorno, con il coordinamento del Servizio Centrale Operativo, hanno dato esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare emessa lo scorso 21 gennaio dal G.I.P. presso il Tribunale della città dello Stretto.
I NOMI
In carcere sono finiti: Paolo Labate ,classe '82, nato a Reggio Calabria; Rocco Cassone, classe '57, nato a Campo Calabro ; Santo Gambello , classe '75, nato a Reggio Calabria; Paolo Labate , classe '84, nato a Cortona (AR); Antonio Galante, classe '66, nato a Reggio Calabria; Caterina Cinzia Candido , classe '65, nata a Milano; Francesco Marcellino, classe '50, nato a Reggio Calabria; Fabio Morabito , classe '71, nato a Reggio Calabria; Orazio Assumma, classe '59, nato a Reggio Calabria; Domenico Foti , classe '61,nato a Reggio Calabria.
Stesso provvedimento è stato notificato anche a Pietro Labate, classe '51, nato a Reggio Calabri, già detenuto per altra causa, e a Domenico Pratesi , classe '70, nato a Reggio Calabria, anch’esso già detenuto.
Gli arresti domiciliari sono invece scattati per Antonino Labate, classe '50, nato a Reggio Calabria, attualmente ricoverato presso una struttura sanitaria, e Santo Antonio Minuto, classe '65, nato a Reggio Calabria.
Gli arrestati sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa, per aver fatto parte della struttura organizzativa visibile della ‘ndrangheta (unitaria), ed in particolare della sua articolazione territoriale denominata cosca “Ti Mangiu” in prevalenza operante nel quartiere Gebbione di Reggio Calabria; nonché estorsioni aggravate dal ricorso al metodo mafioso.
LA CATTURA DEL BOSS E L’AVVIO DELLE INDAGINI
L’odierna operazione scaturisce dalle indagini di polizia avviate nel mese di maggio 2012 per arrivare alla cattura dell’allora latitante Pietro Labate, ritenuto leader carismatico e vertice indiscusso dell’omonima cosca, sottrattosi nell’aprile 2011 all’esecuzione del fermo di indiziato di delitto nell’ambito dell’Operazione “Archi”, scattata nei confronti di numerosi soggetti appartenenti alle cosche Tegano e Labate.
La cattura avvenne a distanza di un anno, il 12 luglio 2013, a culmine di un’intensa e laboriosa attività investigativa della Squadra Mobile che lo localizzò nella zona vicina al torrente S. Agata di Reggio Calabria, mentre percorreva la strada a bordo di uno scooter. (QUI)
L’ORGANIGRAMMA DELLA COSCA LABATE
Le attività, ampliate nei mesi successivi alla cattura del boss, con l’ausilio di diversificate operazioni tecniche, avrebbero consentito di ricostruire l’organigramma della cosca, ponendo al vertice Pietro Labate e alla reggenza - durante la sua latitanza - il fratello Antonino, coadiuvato dal cognato di entrambi Rocco Cassone e dalle nuove leve Paolo Labate, classe 82, e Paolo Labate classe 84, ovvero i rispettivi figli di Pietro e Antonino, supportati da luogotenenti e affiliati.
GLI AFFARI DEL CLAN E LE AGENDE DEL BOSS
L’esistenza e l’operatività del clan Labate avrebbero trovato pieno riscontro nel capillare controllo del territorio e nella gestione di attività economiche e commerciali, in particolare nel settore alimentare ed edilizio, riconducibili ad affiliati o a compiacenti prestanomi; nonché nell’imposizione indiscriminata di estorsioni ad operatori economici e commerciali e ai titolari di piccole, medie e grandi imprese, in particolare nei confronti di quelli impegnati nell’esecuzione di appalti nel comparto dell’edilizia privata nell’area ricadente sotto il dominio della consorteria mafiosa.
L’inchiesta avrebbe portato alla luce anche gli interessi del clan nel settore delle corse clandestine di cavalli e in quello dei giochi e scommesse on line.
Determinanti, ai fini dell’accertamento delle infiltrazioni dei Labate nel tessuto di alcune attività economiche e commerciali locali, si sarebbero rivelate le agende sequestrate il giorno della cattura a casa dell’indagato Francesco Marcellino, dove il latitante Pietro Labate aveva trovato ospitalità. Su queste il boss aveva annotato nomi di persona, importi e denominazioni di ditte.
Importanti anche le altre agende del reggente della cosca, Antonino Labate, sequestrate in un periodo successivo a casa dei coniugi, ed indagati, Antonio Galante e Caterina Cinzia Candido, abitanti nello stesso stabile del boss e a cui sarebbero stati completamente asserviti.
LE AZIENDE SEQUESTRATE
Nel corso delle investigazioni venivano anche individuate 5 aziende operanti nel settore alimentare e della distribuzione di carburanti, controllate dalla cosca Labate, di cui veniva chiesto il sequestro in quanto ritenute imprese mafiose.
Si tratta della seguenti società: la “PDF S.r.l.”, con sede a Reggio Calabria; attività esercitata: distribuzione al minuto, impianto distribuzione stradale di carburanti (gasolio, olio da gas, benzine senza piombo) [ritenuta riconducibile a Labate Francesco Salvatore, finanziata anche con somme della cassa comune della cosca]; la “PKF S.r.l.”, con sede a Reggio Calabria; attività prevalente: commercio al dettaglio di prodotti surgelati [ritenuta riconducibile a Cassone Rocco]; l’impresa individuale “TUTTOCARTA di Neri Carmela”, sita a Reggio Calabria, operante nel settore dei prodotti di carta e plastica per gli alimenti e la ristorazione [ritenuta riconducibile a Domenico Foti]; l’impresa individuale “Demetrio Assumma”, con sede a Reggio Calabria; attività prevalente: commercio al dettaglio di pitture e vernici [ritenuta riconducibile a Assumma Orazio].
LE RIVELAZIONI DEI PENTITI E LA DENUNCIA DEGLI IMPRENDITORI
Agli esiti acquisiti dalle molteplici attività investigative si sono aggiunti gli importanti contributi di alcuni collaboratori di Giustizia, fra i quali quelli di Mario Gennaro, Enrico De Rosa e da ultimo quelli di Giuseppe Stefano Tito Liuzzo.
Importanti poi le dichiarazioni di rilevante portata accusatoria di affermati imprenditori reggini del settore edile ed immobiliare, sentiti dai magistrati della D.D.A., vittime di pressanti attività estorsive consistenti nel pagamento ad alcuni esponenti del clan di ingenti somme di denaro (anche nell’ordine di 200 mila euro pagate a rate) o nell’imposizione dell’acquisto di beni presso attività commerciali riconducibili ad esponenti di rilievo della cosca.
LE RICHIESTE DI “PIZZO”
In particolare, ad Antonino Labate, Gambello, Morabito, Minuto è stato contestato il reato di estorsione aggravata per aver costretto due commercianti a non aprire un negozio di pescheria tra Viale Aldo Moro e Piazza della Pace di Reggio Calabria, imponendo loro di individuare una diversa zona dove avviare l’attività.
A Pietro Labate e Orazio Assumma, è stato contestato il reato di estorsione aggrava per aver costretto un imprenditore, impegnato nella realizzazione di un complesso immobiliare sul viale Aldo Moro del capoluogo, a pagare a titolo di “pizzo” la somma di 200 mila euro [versata in più tranches tra il 2013 ed il 2015], nonché ad acquistare materiale edile presso il colorificio ritenuto riconducibile all’indagato Orazio Assumma.
A Domenico Foti è stato contestato il delitto di estorsione aggrava, per avere costretto due imprenditori, impegnati nella realizzazione di un complesso immobiliare in via Torricelli Ferrovieri/San Pietro di Reggio Calabria, a pagare a titolo di “pizzo” la somma di 20 mila euro [versata, tra il 2017 ed il 2018, in quattro tranches da 5.000 euro ciascuna e costituente parte della maggior somma 30.000 mila euro richiesta in totale], nonché ad acquistare materiale edile presso il colorificio riconducibile ad Assumma.
Ad Orazio Assumma e Domenico Pratesi, è stato contestato il reato di estorsione aggrava per aver costretto - avvalendosi della collaborazione di Domenico Pratesi [rienuto appartenente alla cosca] che avrebbe funto da intermediario e organizzatore di un incontro – un imprenditore impegnato nell’edificazione di un complesso immobiliare in viale Messina/adiacenze Piazzale Botteghelle di Reggio Calabria, a versare a titolo di “pizzo” la somma di 50 mila euro [prima tranche della più ampia somma di 150.000 e costituente l’importo complessivamente richiesto], oltre ad acquistare materiale edile presso il colorificio di Assumma.
L’odierna operazione, denominata “Helianthus”, ha dunque unito diverse attività di un intenso e pluriennale lavoro investigativo portato avanti dalla Squadra Mobile sotto le direttive dei sostituti Procuratori della D.D.A. di Reggio Calabria Stefano Musolino e Walter Ignazitto, con il fine di disarticolare la temibile cosca Labate mediante un’efficace e unitaria azione di contrasto.
L’ultima operazione che ha colpito la stessa consorteria di ‘ndrangheta risale al 2007 e porta il nome di “Gebbione”. Fu condotta dalla Squadra Mobile ed ebbe il merito di aver ricostruito le linee di azione del clan che controllava - attraverso il sistematico ed asfissiante ricorso al taglieggiamento - pressoché tutte le attività commerciali ed imprenditoriali operanti appunto nel quartiere Gebbione di Reggio Calabria.
In epoca successiva al 2007, la cosca Labate era emersa in un’altra inchiesta, la “Archi-Astrea”, le cui indagini furono condotte dalla Squadra Mobile (QUI), definita con sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria del 20 giugno 2014, e la quale, pur assolvendo i due imputati Pietro e Francesco Salvatore Labate, riconosceva la perdurante operatività del sodalizio mafioso di appartenenza.
”L’influenza della cosca nel panorama ‘ndranghetistico reggino – affermano gli inquirenti - ha sempre trovato forza nei legami di sangue che uniscono i componenti di vertice ad altre potenti cosche attive sul territorio di questa provincia, fra le quali si ricordano le famiglie Garonfalo di Campo Calabro e Iamonte di Melito di Porto Salvo e nei solidi rapporti di alleanza con famiglie mafiose dei tre mandamenti”.