Cosca Labate, chiesti oltre due secoli di carcere per il clan “ti mangiu”
A distanza di poco più di un anno si formalizzano le accuse nei confronti della cosca Labate, potente famiglia nota con il soprannome “ti mangiu” ed operante nel quartiere del Gebbione di Reggio Calabria.
Nell’ambito del processo Helianthus (QUI) il sostituto procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia reggina, Walter Ignazitto, ha avanzato la richiesta di oltre 200 anni di carcere per i vari imputati.
L’operazione, coordinata dal procuratore capo Giovanni Bombardieri e dai sostituti procuratori Stefano Musolino e dallo stesso Ignazitto, era scattata nel gennaio del 2020, e riuscì a ricostruire l’organigramma della cosca mettendo in luce il capillare controllo del territorio (QUI).
Nel mirino del clan le attività economiche e commerciali di ogni natura, soggette a continue richieste di denaro, ma anche vere e proprie società controllate da “teste di legno”, prevalentemente nel settore alimentare ed edilizio.
Pertanto, nel procedimento scaturito dal blitz, sono stati chiesti 20 anni di reclusione per i boss Pietro e Nino Labate, stessa pena avanzata anche per Orazio Assumma e Rocco Cassone; 18 gli anni per Domenico Foti, noto con il soprannome di “Vecchia Romagna”, e per Santo Gabello; per i due figli dei boss, gli omonimi Paolo Labate, la richiesta è stata di 14 anni e 10 mesi. Chiesti, infine, da un anno e mezzo ai 17 anni di reclusione per i restanti imputati.