Anche il camposanto è “cosa loro”: la grinfie dei clan sulle attività del cimitero

Reggio Calabria Cronaca

Con 10 arresti - eseguiti all’alba di oggi - si chiude il cerchio di una complessa e articolata attività investigativa coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Reggio Calabria - diretta dal Procuratore Giovanni Bombardieri - e che avrebbe portato allo scoperto una serie di “intrallazzi” ‘ndranghetistici finalizzati all’accaparramento e all’assegnazione dei lavori all’interno del cimitero di Modena.

Con l’operazione “Cemetery Boss” (QUI), sono così scattate le manette sono scattate così per Nicola Alampi, 51 anni; Giuseppe Angelone, 51 anni; Massimo Costante,37 anni; Natale Crisalli, 62 anni; Salvatore Claudio Crisalli, inteso “Peppe”, 50anni; Francesco Giordano, 55anni; Roberto Puleo, 55 anni; Rocco Richichi, 40 anni, già detenuto per altra causa; Demetrio Missineo, 41 anni; Carmelo Manglaviti, 66 anni, Dirigente Comunale Responsabile del Servizio Cimiteri del Comune di Reggio Calabria, unico messo domiciliari, mentre per gli altri si sono spalancate le porte del carcere.

Ai primi nove si contesta l’associazione mafiosa per aver fatto parte, con ruoli diversi, dei Rosmini e Zindato, cosche con base nei quartieri Modena, Ciccarello e San Giorgio Extra. Il funzionario pubblico, invece, deve rispondere di concorso esterno in associazione mafiosa.

LE INDAGINI

L’indagine - svolta dalla Sezione “Reati contro il Patrimonio” della Squadra Mobile, sotto le direttive dei Sostituti della Dda Stefano Musolino e Sara Amerio – è partito dopo la recrudescenza di alcuni episodi estorsivi avvenuti nella zona sud della città ed avrebbe permesso di accertare l’esistenza e l’operatività, all’interno del “locale” delimitato dai quartieri Modena, Ciccarello e San Giorgio Extra, di due distinte e pericolose organizzazioni mafiose: la cosca Borghetto-Zindato-Caridi, che opera nell’ambito della potente cosca Libri, e quella dei Rosmini, legata invece alla più affermata consorteria dei Serraino.

Entrambe i clan vengono storicamente connotati come articolazioni territoriali della ‘ndrangheta e si ritiene abbiano preso parte attiva alla cosiddetta seconda guerra di mafia, avvenuta tra il 1985 ed il 1991militando.

I Rosmini, all’epoca, ed insieme alle famiglie Imerti, Condello, Saraceno, Fontana, Nicolo e Ficara, avrebbero militato sul fronte antidestefaniano, contro il quale si erano coalizzate le famiglie De Stefano, Libri, Tegano, Zito, Zindato, Postorino, Latella e Barreca (il cosiddetto “cartello destafaniano”).

LA RIPARTIZIONE DEL TERRITORIO

La ripartizione di quella porzione di territorio cittadino tra le cosche costituirebbe per gli inquirenti un dato acclarato da precedenti indagini, svolte anche dalla Mobile reggina, come le operazioni “Wood”, “Testamento” e “Alta Tensione.

In particolare, nell’ambito di quest’ultima inchiesta, che risale al 29 ottobre 2010, vennero arrestati degli esponenti di vertice dei Rosmini, ovvero Diego Rosmini (classe 1972); Natale Paolo Alampi (‘74) e Osvaldo Massara (’65).

Analogamente, al termine invece dell’operazione Cartaruga”, del 19 ottobre del 2012, sempre la stessa Squadra Mobile arrestò altri presunti affiliati alla stessa consorteria, tra cui Francesco Rosmini (classe 1964), Antonino Casili (’49) e Carmelo Mandalari (’85).

LA “LINFA VITALE”

Grazie alle attività tecniche disposte nell’ambito di questa indagine in capo ai fedelissimi di Francesco Giordano (considerato esponente storico della cosca Rosmini), dei fratelli Natale e Salvatore Claudio (detto “Peppe”) Crisalli, Massimo Costante e Giuseppe Angelone (detto Pino), ma anche con le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia Giuseppe Stefano Tito Liuzzo, Federco Greve e Enrico De Rosa, sarebbe stato dunque possibile individuare altri presunti associati che avrebbero garantito non solo una fattiva collaborazione ai componenti di vertice della cosca – tra cui Diego Rosmini e Francesco ed Natale Paolo Alampi - ma anche “linfa vitale” e un “concreto contributo” alla vita e all’attività della stessa associazione, soprattutto sotto il profilo materiale dell’operatività.

L’UOMO “CARISMATICO”

Nello specifico, l’attività investigativa avrebbe messo in luce il ruolo apicale ricoperto in seno ai Rosmini, dal “carismatico” Francesco Giordano, considerato il referente imprenditoriale della cosca tanto per tutti i lavori edili da realizzarsi sul territorio di influenza ma in particolare per quelli da eseguirsi nell'ambito del plesso cimiteriale di Modena.

Giordano è ritenuto infatti al vertice del clan nel quartiere Modena, elemento che risulterebbe dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giuseppe Stefano Tito Liuzzo, “soggetto di indubbio spessore criminale” in quanto già appartenente alla cosca.

Luizzo, quanto all’ascesa criminale di Giordano, ha raccontato che Giuseppe Angelone (altro storico affiliato) lo avrebbe presentato alla cosca, fino ad assumerne il ruolo di referente della nel quartiere di Modena.

Anche il collaboratore Federico Greve lo indica come uomo di fiducia di Diego Rosmini, detto “il nano” - che lo avrebbe “battezzato” a casa sua prima del 1991 - attualmente con il grado della Santa, e capo locale di Modena nonché dominus indiscusso dei lavori al cimitero.

In merito alla posizione di Giordano, stesse argomentazioni arrivano dal collaboratore Enrico De Rosa che lo ha indicato come esponente della cosca Serraino nel quartiere.

IL PUNTO DI RIFERIMENTO

Nel corso dell’indagine sarebbe emerso che tutti abbiano avuto come punto di riferimento per quel territorio proprio Francesco Giordano.

Le dichiarazioni dei collaboratori sulla centralità della figura di Giordano troverebbero riscontro nelle risultanze dell’attività investigativa in quanto era proprio a questi che Filippo Chirico ed il suo braccio destro Tomaselli Gaetano - considerati esponenti di vertice (il primo) della cosca Libri – si sarebbero rivolti per occupare un'immobile da consegnare alla compagna di Chirico.

Il ruolo di Giordano, in altri termini, viene ritenuto dagli inquirenti paritetico a quello di Chirico in seno alla consorteria mafiosa di appartenenza, i Libri.

Inoltre, due emissari di Maurizio Cortese, storico affiliato alla cosca Serraino, quest0ultima federata ai Rosmini, avrebbero chiesto proprio a Giordano di intervenire presso i componenti la comunità rom per ottenere la restituzione di un motorino rubato.

IL “FACTOTUM” DI GIORDANO

Giuseppe Angelone, ritenuto invece storico e carismatico affiliato ai Rosmini, avrebbe collaborato con le imprese edilidi comodo” e nella totale disponibilità del clan, al pari degli altri sodali; la tesi che fosse un punto di riferimento per l'esecuzione dei lavori edili nel cimitero di Modena, dove la cosca avrebbe comandato grazie alla presunta collaborazione del funzionario pubblico Manglaviti.

Durante l’indagine si sarebbe riscontrata, anche, la presenza constante - a fianco del cognato, Francesco Giordano - di Salvatore Claudio Crisalli, detto “Peppe”, che gli investigatori definiscono come una figura poliedrica nell’ambito dell’associazione e legato allo stesso “da un legame di natura criminale”.

Crisalli avrebbe dato prova di essere capace di muoversi sul territorio di Modena e di interfacciarsi con gli esponenti della comunità rom per la restituzione delle auto rubate.

Si sarebbe infatti accertato come questi, “in ragione della sua appartenenza” alla criminalità organizzata locale, al pari di Massimo Costante, sia stato più volte chiamato in causa da amici o parenti che avevano subito il furto di una vettura nel territorio appannaggio della cosca Rosmini.

Sempre secondo gli inquirenti, Crisalli sarebbe stato il “factotum” di Giordano: l’ipotesi è che era lui ad essere costantemente chiamato dal cognato per i lavori edili di ogni tipo o per incontrare i clienti nel cimitero e che si sarebbe messo a completa disposizione del capo società.

In altri termini, Crisalli sarebbe stato il terminale ultimo delle direttive di Giordano. Il collaboratore di giustizia Liuzzo lo indica come storico appartenente alla cosca e che avrebbe fatto la gavetta criminale sin dai tempi in cui militava anche Diego Rosmini (classe 1959).

I RUOLI ALL’INTERNO DEL CLAN

In merito alla posizione di Massimo Costante, gli investigatori richiamano le dichiarazioni accusatorie fornite dallo stesso collaboratore che lo ha indicato come affiliato ai Rosmini, particolarmente vicino al capo società, Giordano, ed in grado di operare per conto della cosca in diversi settori: edilizio, commerciale, nel recupero di autovetture trafugate, ecc. Costante avrebbe espletato anche la funzione di autista di Francesco Giordano occupandosi, inoltre, della tutela dello stesso.

Tra gli indagati viene evidenziata poi la figura di Natale Crisalli che, da quanto emerso dalle investigazioni, ed in forza della parentela con il fratello Salvatore Claudio, detto “Peppe”, e con il più carismatico Giordano, sarebbe stato un punto di riferimento dei Rosmini tanto da essere contattato da un esponente della cosca Pesce Rosarno per cercare un posto di lavoro per due ragazze.

Immediata, in questo senso, la messa a disposizione del presunto appartenente ai Rosmini che avrebbe mandato “un'imbasciata” e nel giro di pochissimo tempo combinato un appuntamento di lavoro impegnandosi, infine, per garantire vitto ed alloggio, “nel pieno rispetto delle logiche di 'ndrangheta e nel buon nome della comune militanza nei circuiti unitari della criminalità organizzata” affermano gli inquirenti.

Nell’alveo del gruppo avrebbe goduto di prestigio criminale in ragione della sua vicinanza a Giordano ed al fratello, elemento che viene colto da una conversazione in cui lo stesso avrebbe dato atto di vantare un credito nei confronti del genero del boss Giovanni Tegano, Edmondo Eddy Branca, e di non avere timore della pesante parentela.

L’ASSOCIATO DI LUNGO CORSO

Altra figura quella di Roberto Puleo, parente di Francesco Giordano, definito “associato di lungo corso”, e che sarebbe stato disponibile a curare la latitanza degli affiliati o di provvedere alle necessità economiche dei congiunti di Natale Paolo Alampi, esponente di vertice della consorteria e detenuto.

Quanto a Nicola Alampi, considerato un appartenente alla cosca e fratello del più noto Natale Paolo, a sua volta esponente di vertice del clan, di cui ne avrebbe ereditato il ruolo, questi avrebbe svolto compiti organizzativi partecipando alle decisioni inerenti la vita dell'associazione ed impartendo le direttive agli associati.

Sempre il collaboratore di giustizia Liuzzo lo indica come affiliato storico ai Rosmini e che avrebbe fatto la gavetta sin dai tempi in cui militava anche Diego Rosmini (classe 1959), così come sempre attivo nei settori criminali di interesse dalla cosca.

LO SPACCIO E LE CONTROVERSIE

Altri due, ovvero Demetrio Missineo e Rocco Richichi, sarebbero stati a disposizione della cosca Zindato. In particolare, Missineo su incarico di Francesco Zindato, detto “Checco”, si sarebbe occupato dello spaccio di cocaina, avrebbe detenuto armi e avrebbe provveduto alla risoluzione “in stile mafioso” delle controversie che coinvolgevano i sodali ed i terzi.

Richichi sarebbe stato deputato all’attività di spaccio, assieme a Missineo e a Fabio Franco Quirino (ucciso il 3 marzo 2014 nel Rione Modena) (QUI).

Gli investigatori sostengono che la loro capacità di agire anche con metodologia violenta, tipica dell'associazione cui appartengono” sarebbe un dato che non “proviene solo dalle dichiarazioni del collaboratore De Rosa, ma anche dagli esiti delle captazioni compendiate nella presente indagine” come, ad esempio, quando Richichi avrebbe riferito a Massimo Costante che avrebbe voluto bruciare il bar del Natale Crisalli.

L’UOMO CHIAVE NELLO SCACCHIERE

A lato della ricostruzione associativa, spicca poi la figura del pubblico ufficiale, Carmelo Manglaviti, Dirigente del servizio cimiteriale di Reggio Calabria che - pur senza essere affiliato – avrebbe prestato un costante ed effettivo contributo al perseguimento degli scopi dell’associazione mafiosa, assurgendo ad uomo chiave nello scacchiere criminale dei Rosmini.

Lo stesso avrebbe avuto un rapporto particolareggiato, esclusivo e confidenziale con il referente imprenditoriale della cosca, Giordano, e con gli altri presunti sodali, Salvatore Claudio Crisalli e Massimo Costante.

Manglaviti, in più occasioni, avrebbe contatto telefonicamente Giordano e Crisalli organizzando con gli stessi degli incontri de visu e gli stessi dipendenti del funzionario pubblico avrebbero funto da segretari di Crisalli e Giordano.

Inoltre avrebbe permesso che gli appartenenti alla cosca Rosmini, senza essere titolari di alcuna ditta, operassero indisturbati nella realizzazione di ogni lavoro edile all'interno del cimitero di Modena.

IL CIMITERO IN MANO AL CLAN

Il collaboratore Liuzzo avrebbe riassunto in maniera plastica i presunti rapporti economico-criminali tra Manglaviti ed i Rosmini riferendo che, nel cimitero di Modena, il monopolio assoluto sui lavori (delle tumulazioni, estumulazioni, dell’edificazione e ristrutturazione di cappelle funerarie) sarebbe stato in mano a Francesco Giordano e Giuseppe Angelone e che tante ditte avrebbero tentato di “entrare” nei lavori ma che difficilmente erano riuscite nel loro intento.

Dall’attività tecnica emergerebbe come nei locali dell'ufficio comunale, dentro lo stesso cimitero, era di fatto ubicata la sede amministrativa di Giordano e Crisalli dove, in diverse occasioni, i gli stessi avrebbero ricevuto clienti, stipulavano accordi, formalizzavano vendite con i privati che richiedevano interventi edili.

Il contributo che avrebbe fornito Manglaviti alla cosca sarebbe stato indispensabile per imporre il monopolio dei lavori edili in favore di Giordano e dei suoi sodali, contribuendo così alla conservazione ed al rafforzamento dell’associazione, e si ritiene fosse consapevole che senza il suo apporto i Rosmini non avrebbero mai potuto lavorare nel cimitero.

Gli inquirenti sostengono che così facendo il funzionario comunale avrebbe consegnato agli uomini del clan l’intero plesso cimiteriale, mettendo a disposizione del gruppo i suoi sottoposti e la sede degli uffici comunali.

I SEQUESTRI

L’inchiesta dimostrerebbe anche come alcuni soggetti, in ragione della loro appartenenza alle cosche Rosmini e Zindato e della consapevolezza di potere essere destinatari di provvedimenti di custodia cautelare o di misure di prevenzione personale e patrimoniale, consapevolmente avrebbero messo avviato un’accurata attività di attribuzione fittizia della titolarità di attività imprenditoriali così da eludere i controlli delle forze dell’ordine e le disposizioni di legge in tema di misure di prevenzione.

Su richiesta della Dda, così, il Gip del Tribunale di Reggio Calabria ha disposto il sequestro preventivo, notificato oggi dalla Squadra Mobile, dell’Impresa individuale Nicolò Rosaria del capoluogo, intestata a Rosaria Nicolò e che ha in gestione un’impresa di pulizie denominata “Starbrill”; sigilli anche al “Valery Bar” di Reggio Calabria e dell’Impresa individuale “Sette Veli di Mirella Patrizia Crisalli”, di fatto di proprietà di Natale Crisalli.