L’alito della ‘ndrangheta anche sul cimitero, blitz della Dda: dieci arresti

Reggio Calabria Cronaca

Dieci arresti, dei quali nove in carcere e uno ai domiciliari, ma anche diverse perquisizioni oltre a sequestri che stano interessando alcune aziende.

Questi i numeri di una importante operazione di polizia scattata all’alba di questa mattina. Condotto dalla squadra mobile reggina il blitz ha portato all’esecuzione di altrettante ordinanze di custodia cautelare nei confronti di persone che sono ritenute affiliate alle cosche locali dei Rosmini e Zindato ed a cui si contestano - a vario titolo e con ruoli diversi - i reati di associazione mafiosa e di concorso esterno in associazione mafiosa.

L’operazione, denominata in codice Cemetery Boss e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica del capoluogo dello Stretto, sta vedendo impegnati circa un centinaio di uomini della Polizia di Stato con la collaborazione dei colleghi del Reparto Prevenzione Crimine.

L’INTRECCIO IMPRENDITORIALE-MAFIOSO

L’inchiesta della Dda, sviluppata con un’articolata indagine condotta dalla Mobile, avrebbe quindi consentito di ricostruire gli assetti e le dinamiche criminali di entrambe i clan: i Rosmini - federati alla più affermata e risalente cosca dei Serraino - che operano prevalentemente nei quartieri cittadini di Modena, Ciccarello e San Giorgio Extra; e i Zindato attivi, nella stessa porzione di territorio, in seno al “cartello Borghetto-Zindato-Caridi, federato alla cosca dei Libri.

L’indagine, dunque, avrebbe permesso di fare luce sugli interessi economici dei Rosmini nel settore delle attività edilizie sulla propria area di influenza, in particolare nei lavori all’interno del cimitero di Modena e dove avrebbero gestito, in condizioni di monopolio, le attività relative alla tumulazione e estumulazione delle salme, all’edificazione e ristrutturazione delle cappelle funerarie, con l’esclusione di qualsiasi altra ditta che non fosse da loro autorizzata.

Le investigazioni della Mobile si sono avvalse delle attività di intercettazione ma anche dell’apporto dato dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, e grazie alle quali è stato possibile portare alla luce quello che è stato definito dagli inquirenti come un “pericoloso ed articolato intreccio imprenditoriale-mafioso” che avrebbe determinato il graduale potenziamento della cosca Rosmini nell’ambito della ‘ndrangheta unitaria.

LA “BASE” NEL CIMITERO E “L’UOMO CHIAVE”

Le manette sono così scattate stamani per alcuni presunti elementi di vertice e componenti di quest’ultimo clan, come Francesco Giordano, Nicola Alampi, Salvatore Claudio Crisalli detto “Peppe”; ma anche degli Zindato, tra cui Demetrio Missineo e Rocco Richichi.

In arresto è finito anche il Dirigente Responsabile pro tempore dei servizi cimiteriali del Comune di Reggio Calabria, Carmelo Manglaviti, ritenuto responsabile di aver favorito i Rosmini nei processi di imposizione del monopolio sui lavori edili nel cimitero di Modena, assurgendo - secondo gli inquirenti – ad uomo chiave nello scacchiere del sodalizio criminale”.

Il funzionario pubblico è accusato infatti di aver permesso al referente imprenditoriale della cosca, Francesco Giordano, e agli altri presunti sodali, Crisalli e Costante, di operare indisturbati e senza essere titolari di alcuna ditta nella realizzazione di ogni lavoro all’interno dello stesso cimitero.

L’ipotesi è che, in pratica, abbia consegnato sostanzialmente agli uomini dei clan l’intero plesso cimiteriale, mettendo a loro disposizione i suoi sottoposti e la sede degli uffici comunali, all’interno del cimitero, che di fatto sarebbe diventata la base amministrativa degli uomini dei Rosmini (Giordano e Crisalli) dove, questi ultimi, e in diverse occasioni, avrebbero ricevuto clienti, stipulato accordi e formalizzato le vendite con i privati che richiedevano interventi edili all’interno della struttura.

IL SEQUESTRO DEL BAR E DI UN’IMPRESA

L’inchiesta avrebbe anche fatto emergere come alcuni soggetti, in ragione della loro presunta appartenenza alle due cosche indagate, e consapevoli di poter essere raggiunti da dei provvedimenti di custodia cautelare o da misure di prevenzione personale e patrimoniale, abbiano deliberatamente attribuito fittiziamente la titolarità di attività imprenditoriali.

Un modo questo per sfuggire da una parte ai controlli delle forze dell’ordine e dall’altra anche alle disposizioni di legge relative a eventuali sequestri e confische di beni.

Per questa ragione, sempre su ordine della Dda, la Squadra Mobile ha eseguito il sequestro preventivo - disposto dal Gip del tribunale locale - di due bar e un’impresa di pulizia, nel frattempo divenuti non operativi, e considerati come riconducibili a presunti esponenti dei clan Rosmini e Zindato.

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