‘Ndrangheta: maxi operazione contro le cosche reggine, 17 arresti
La squadra mobile della questura di Reggio Calabria, dalle prime ore di stamani, è impegnata in una vasta operazione, denominata “Sistema Reggio”, per l’esecuzione di 19 ordinanze di custodia cautelare, di cui 11 in carcere e 6 ai domiciliari oltre a due obblighi di dimora. Ben 250 gli agenti della polizia impegnati nel maxi blitz.
I provvedimenti sono stati emessi dalla Direzione Distrettuale Antimafia reggina e colpiscono le cosche di ‘ndrangheta che fanno capo alle famiglie De Stefano, Franco, Rosmini, Serraino e Araniti. I reati contestati vanno dall’associazione mafiosa, al concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione, detenzione e porto di materiale esplosivo, intestazione fittizia di beni e rivelazione del segreto d’ufficio.
Eseguite inoltre diverse perquisizioni oltre che sequestri di esercizi commerciali - per un valore di circa 10 milioni di euro - ritenuti “in mano” alla ‘ndrangheta: si tratta di noti bar della città, di una stazione di servizio per l’erogazione di carburante, di una concessionaria di auto e attività per la distribuzione di prodotti ittici surgelati.
Secondo gli inquirenti, gli esponenti delle cosche di Reggio Calabria avrebbero costituito e gestito, direttamente o per interposta persona, una serie di attività economiche di diversi settori imprenditoriali, attribuendone la titolarità formale a terzi allo scopo di sfuggire ai controlli delle forze dell’ordine e alle disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione.
I CLAN DECIDEVANO LE ASSUNZIONI O I NEGOZI CHE POTEVANO APRIRE IN CITTÀ
L’operazione, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia, colpisce i presunti capi, gregari e soggetti ritenuti contigui alle cosche De Stefano e Franco che sarebbero aderenti al cosiddetto cartello “Destefaniano” e dei Rosmini, Serraino e Araniti aderenti invece al cartello “Condelliano”, “imperanti in città e – spiegano gli investigatori - uniti nella spartizione dei proventi derivanti dalle attività estorsive a danno di commercianti ed operatori economici di Reggio Calabria”.
L’inchiesta confermerebbe come che le cosche di ‘ndrangheta eserciterebbero “sistematicamente” anche il potere di regolamentazione dell’accesso al lavoro privato (facendo assumere agli esercizi commerciali dipendenti graditi alle organizzazioni criminali) nonché la sua potestà di regolamentazione del commercio stesso, autorizzando o meno l’apertura di negozi nei quartieri controllati. In particolare, quello di Santa Caterina del capoluogo, dove la pressione dei clan era capillare attraverso le famiglie Franco e Stillitano, i primi federati ai De Stefano e i secondi ai Rosmini e quindi ai Condello. I due massimi referenti locali sarebbero, per gli inquirenti, Roberto Franco (55 anni) e i fratelli Mario Vincenzo e Domenico Stillitano (rispettivamente di 49 e 53 anni), arrestati questa notte insieme ai componenti di altri sodalizi criminali.
Il blitz di stamani trae origine da un grave attentato perpetrato la notte dell’11 febbraio del 2014, quando venne fatto esplodere un ordigno cosiddetto “pipe bomb”, nel Bar Malavenda, un noto locale proprio del quartiere Santa Caterina. La deflagrazione aveva distrutto la vetrina del bar, il banco pasticceria e diverse vetrate anche dei locali sovrastanti, adibiti ad ufficio, magazzino e laboratorio, oltre che una minicar che era parcheggiata nelle vicinanze. L’1 marzo del 2014, veniva poi ritrovato un altro ordigno inesploso, nello stesso punto e dello stesso tipo di quello che era esploso a febbraio.
IL PREZIONO CONTRIBUTO DELLE INTERCETTAZIONI
Alla base dell’inchiesta, poi, vi sarebbero numerose intercettazioni e su cui si sono basata e principalmente le investigazioni della Mobile: registrazioni telefoniche, ambientali e video riprese che disposte dalla Dda hanno prodotto elementi che avrebbero consentito di ricostruire puntualmente non solo le dinamiche criminali relative al duplice attentato del Bar Malavenda, con l’individuazione dei presunti mandanti, ma anche ai contesti mafiosi riconducibili ai due più potenti casati di ‘ndrangheta della città, cioè quelli facenti capo alla famiglia De Stefano e Condello, entrambi dominanti ad Archi ed in altri quartieri del centro, fra i quali, appunto, Santa Caterina.
“DECAPITATI” I VERTICI DEI CINQUE CLAN
In manette sono pertanto finiti quelli che gli inquirenti ritengono essere i vertici strategici delle cinque cosche. Tra questi un legale, l’avvocato Giorgio De Stefano, 68 anni, già condannato per concorso esterno in associazione mafiosa ed indicato nelle intercettazioni come “massimo” referente della cosca.
Arrestati inoltre, Franco Roberto, 56 anni, considerati il capo dell’omonima famiglia federata ai De Stefano; Domenico Stillitano, 54 anni e fratello di Mario Vincenzo, 50 anni, ritenuti i rappresentanti apicali della stessa famiglia, alleata ai Condello; Antonino Araniti, 38 anni e Giovanni Sebastiano Modafferi, 39, presunti elementi di spicco della cosca Araniti federata ai Condello; Antonino Nicolò, 64 anni, per gli inquirenti elemento di rilievo dei Rosmini, federati ai Condello; Dimitri De Stefano, 43 anni, anche lui ritenuto esponente di spicco e dell’omonima cosca, nonché fratello del più noto Giuseppe, 47 anni, attualmente detenuto e considerato il capo crimine di Reggio Calabria.
Secondo la ricostruzione degli agenti della Mobile, Carmelo Salvatore Nucera (57) per avviare l’esercizio commerciale preso in affitto dalla famiglia dei Nicolò - che lo avevano acquistato dai Malavenda - aveva dovuto chiedere l’autorizzazione prima ai De Stefano, rappresentati a Santa Caterina da Franco Roberto che aveva dato il suo assenso, e poi ai fratelli Domenico e Mario Vincenzo Stillitano, rappresentanti dello schieramento dei Condello, che invece si sarebbero opposti decisamente all’apertura del nuovo locale.
Per superare il veto posto dagli Stillitano, Carmelo Nucera si sarebbe così rivolto ai massimi rappresentati dei De Stefano e Condello. Nel primo caso era riuscito ad arrivare fino a Giorgio De Stefano (“il massimo”) attraverso la mediazione di un conoscente e nel secondo caso ai Condello tramite gli Araniti.
PER APRIRE IL BAR SI CHIEDEVA IL PERMESSO ALLA COSCA
Due degli indagati, Carmelo Salvatore Nucera e Giovanni Carlo Remo sono stati arrestati per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo la tesi accusatoria avrebbero difatti “aiutato e rafforzato” le cosche di Santa Caterina assicurandosi la protezione della ‘ndrangheta per aprire un bar, il “Ritrovo Libertà” (che sarebbe la nuova denominazione dell’ex bar Malavenda) intestato a Nucera e gestito da quest’ultimo in società di fatto con Remo. Così facendo, però, sostengono gli inquirenti, avrebbero riconosciuto “alla ‘ndrangheta il potere di regolamentazione” sia dell’accesso al lavoro privato, assumendo “dipendenti graditi alle cosche” che quello di regolamentazione dell’esercizio del commercio e, più in generale, 2il controllo sulle attività economico-produttive del quartiere”.
L’INFORMATORE DEL CLAN NELL’UFFICIO DEL GIP
Alcuni indagati, inoltre, sarebbero stati aiutati da Maria Angela Marra Cutrupi, 52enne che lavorava come impiegata a tempo determinato e con mansioni esclusivamente esecutive, all’ufficio del Gip presso il Tribunale di Reggio. Alla donna viene contestato di aver informato alcuni indagati dell’esistenza di un’inchiesta a loro carico. Stanotte la 52enne è stata pertanto arrestata con l’accusa di rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio aggravata dalla circostanza di aver agevolato la ‘ndrangheta. Assieme a lei - e con la stessa accusa - è finito in manette anche il marito Domenico Nucera, a cui la donna avrebbe rivelato le informazioni coperte da segreto, apprese negli uffici giudiziari, che sarebbero poi state riferite da quest’ultimo al fratello Carmelo Salvatore Nucera.
Altre sei persone sono state arrestate invece per intestazione fittizia di beni: si sarebbero prestate a fare da prestanomi ad appartenenti alle cosche per consentire loro di eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniale.
GLI INDAGATI
Carmelo Salvatore Nucera, (1959); Giovanni Carlo Remo, (1958); Antonino Nicolò, (1952); Roberto Franco, (1960); Salvatore Gioè, (1969); Mario Vincenzo Stillitano, (1966); Domenico Stillitano, (1962); Antonino Araniti, (1978), Giovanni Sebastiano Modafferi, (1977); Giorgio De Stefano (1948); Dimitri De Stefano (1973); Domenico Nucera, (1945); Maria Angela Marra Cutrupi (1964); Giuseppe Smeriglio (1964); Angela Minniti, (1971); Saveria Saccà (1969); Alessandro Nicolò (1985).
Ai primi 11 è stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere, i restanti sono stati sottoposti ai domiciliari. L’obbligo di dimora e di presentazione alla polizia giudiziaria ha riguardato invece Franco Lorena (1990) e Anna Rosa Martino (1970).
Le perquisizioni sono state eseguite a carico di tre degli indagati e numerose altre a carico di soggetti ritenuti contigui alle cosche di ‘ndrangheta.
I BENI SEQUESTRATI
Il sequestro preventivo, oltre che numerosi conti correnti e strumenti finanziari riconducibili alle società ed agli indagati, ha riguardato: l’Impresa individuale “Fashion Cafe’ di Minniti Angela” di Reggio Calabria; l’Impresa “Delizie del Mare” di Reggio Calabria, frazione Catona con almeno 6 punti vendita in città; l’Impresa individuale “Smeriglio Giuseppe”; il Bar Pasticceria Caffetteria Mediterranea, a Reggio Calabria; la Concessionaria “G.S. Motors” di Reggio Calabria; la Stazione di Servizio “Esso” di via Enotria a Reggio Calabria; il “Bar Villa Arangea” di Arangea e il “Ritrovo Libertà”.