Quel giro miliardario del gioco online tra le grinfie dei clan e i “vizi” dei rampolli
Un nome emblematico, quello di operazione “Galassia”: così gli inquirenti hanno voluto battezzare il maxi blitz scattato stamani in contemporanea tra Calabria, Sicilia e Puglia (GUARDA IL VIDEO).
Sotto la lente la gestione di un lucrosissimo affare, quello scommesse online illegali: un business quantificato in oltre 4,5 miliardi di euro, a tanto ammonterebbero infatti le “giocate” movimentate e che avrebbe consentito alle “mafie” delle tre regioni di spartirsi qualcosa come 3,2 miliardi, ricavi ovviamente sconosciuti al fisco.
Diciotto le persone sottoposte a fermo in Calabria (su una settantina in totale) per associazione mafiosa, abusivo esercizio dei giochi e delle scommesse, omessa dichiarazione di ricavi, truffa aggravata ai danni dello Stato per oltre 60 milioni di euro.
Nell’indagine sono implicati dei noti bookmaker esteri del settore e che operano in Italia sotto le “insegne” di “Planetwin365” (fino al 2017), “Betaland” ed “Enjoybet”.
Al momento è ancora in corso il sequestro dell’intero profitto della presunta organizzazione criminale, così come di 23 società estere, 15 imprese attive sul territorio nazionale, 33 siti web nazionali e internazionali, 24 immobili, numerosi automezzi e conti correnti (italiani ed esteri), oltre che di innumerevoli quote societarie: il tutto stimato in un valore complessivo di oltre 723 milioni di euro.
L’operazione è imponente: scattata all’alba ha visto impegnati oltre duecento militari della Guardia di Finanza di Reggio Calabria (800 in tutta Italia), personale del Centro Operativo della Direzione Investigativa Antimafia dello Stretto, così come del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata e del Nucleo Speciale Tutela Privacy e Frodi Tecnologiche delle fiamme gialle di Roma.
Il tutto coordinato dalla Direzione Nazionale Antimafia della capitale e dalla Dda del capoluogo calabrese, guidata dal Procuratore Capo Giovanni Bombardieri.
I “RAMPOLLI” PASSEPARTOUT PER AMPLIARE IL MERCATO
Le indagini - originariamente condotte dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Gdf reggina - avrebbero dunque accertato l’esistenza di “una pluralità” di associazioni per delinquere in rapporto con la ‘ndrangheta, a cui avrebbero consentito di infiltrarsi nella propria rete commerciale e di riciclare gli imponenti proventi illeciti.
Organizzazioni che così facendo si sarebbero anche assicurate un ampliamento della stesse rete commerciale e la distribuzione capillare del proprio marchio sul territorio.
Secondo gli inquirenti ciò sarebbe stato possibile grazie a degli accordi stretti con soggetti collegati alle cosche reggine e, in primis, con i rampolli emergenti delle delle stesse, identificati in Danilo Iannì, Domenico Tegano e Francesco Franco.
Accordi che, dunque, avrebbero portato a sfruttare “i metodi caratteristici di un’associazione mafiosa”, ovvero la forza di intimidazione, di assoggettamento e omertà, per acquisire, in modo diretto o indiretto, la gestione o comunque il controllo di attività economiche illegali.
Per realizzare i loro progetti - sostengono gli investigatori - Tegano e Franco, a loro volta, si sarebbero avvalsi del “peso criminale” dei rispettivi padri, ovvero: Pasquale Tegano, ritenuto al vertice dell’omonima cosca, più volte condannato per associazione mafiosa; e Roberto Franco, a sua volta considerato capo della ‘ndrina di rione Santa Caterina di Reggio Calabria, aderente al sodalizio che fa riferimento alle famiglie De Stefano-Tegano, e coinvolto, più di recente, nell’operazione “Sistema Reggio” ed attualmente detenuto (LEGGI).
IL PELLEGRINAGGIO A POLSI PER STRINGERE ALLEANZE
Sarebbe poi emerso come le questioni legate ai debiti contratti dai diversi clienti-scommettitori, relativi alla concessione di fidi per il gioco o le scommesse o alla fornitura di stupefacenti, fossero “agevolmente” risolte grazie al “sempre disponibile” intervento di soggetti ritenuti di “alto profilo criminale”, come Carmelo Consolato Murina e Domenico Aricò.
Una manifestazione evidente dell’appartenenza alla ‘ndrangheta risulterebbe poi l’organizzazione da parte delle cosiddette “nuove leve” criminali, nel 2016, di un pellegrinaggio presso il Santuario della “Madonna di Polsi”, a San Luca, “evocativo - sostengono sempre gli inquirenti - di una ritualità tipica della ‘ndrangheta in quanto, in occasione dei festeggiamenti in onore della Madonna …"è stato per decenni il luogo individuato dalle varie ‘ndrine per stringere alleanze e per progettare strategie criminali”.
Il pellegrinaggio, come dicevamo organizzato dagli indagati, acquisirebbe un particolare significato quando gli proprio avrebbero definito il percorso da seguire.
“IL TRIANGOLO DELLE BERMUDA": ARCHI, CONDERA E CANNAVÒ
Il “viaggio” prevede infatti ed inizialmente un passaggio in segno di rispetto davanti alle Case Circondariali di “San Pietro” e “Arghillà” e nei pressi dell’abitazione di Roberto Franco.
Sarebbero state vagliate e scelte attentamente anche le modalità di trasporto e i partecipanti, utilizzando un autocarro scoperto, allestito in modo adeguato alla circostanza con un impianto di amplificazione, un generatore elettrico, etc., ed invitati soggetti ritenuti “idonei” a parteciparvi, precisando che avrebbero preso parte esponenti delle “locali” di Archi, Condera e Cannavò: “… facciamo il triangolo delle bermuda Archi, Condera e Cannavò …”, avrebbe affermato uno degli organizzatori.
Infine, le evidenze investigative certificherebbero come l’organizzazione fosse particolarmente sollecita nel provvedere ai bisogni dei numerosi detenuti nelle Case Circondariali, attraverso la cosiddetta “colletta”, ovvero l’invio di “soldi” e la fornitura di “generi alimentari”.
LA GESTIONE DEI SITI E L’AMPLIAMENTO AL CENTRO-NORD
Acquisiti i presunti profili criminali, le investigazioni si sono poi soffermate sulle attività condotte da Danilo Iannì, Domenico Tegano e Francesco Franco, che - si ritiene insieme ad altri, tra cui Santo Furfaro e Francesco Sergi (detto “Zeus”) - avrebbero avuto la disponibilità di siti web illegali formalmente o di fatto riconducibili ai vertici delle società che hanno gestito i marchi, ovvero la “Planetwin365” o la “Betaland”.
In questo modo avrebbero promosso sul territorio di competenza l’attività tipica dei “bookmaker”, organizzando e gestendo la raccolta illegale del gioco e delle scommesse attraverso una ramificata rete commerciale che utilizzava i siti “www.betclu.com”, “www.fullbetter.com”, “www.europabet24.com”, “www.sportbet75.net”, “www.premierwin365.it”, “www.dominobet.it”, “www.futurebet2021.com”, “www.future2bet2021.com” e “www.fsa365.com”.
L’ipotesi è che tramite questi portali l’associazione avrebbe sviluppato altre reti commerciali in Toscana, Liguria, Lombardia e nelle province di Siracusa, Catania e Crotone, con il necessario coinvolgimento di altri responsabili.
Si sarebbe accertata l’esistenza di un articolato sodalizio criminale che - grazie agli accordi territoriali con le organizzazioni mafiose - si sarebbe dunque infiltrato nel tessuto economico nazionale, in particolare nel comparto dei giochi e delle scommesse compiendo diverse violazioni che vanno dalla raccolta fisica delle scommesse senza la prevista concessione rilasciata dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, all’utilizzo di siti online “.com” completamente illegali, all’uso dei Centri Trasmissioni Dati (CTD) e dei Punti Vendita Ricariche (PVR), come schermo giuridico fittizio dietro cui celare la raccolta illegale.
LA RACCOLTA DELLE SCOMMESSE E LA CONCESSIONE DEI “FIDI”
Sotto il profilo giuridico, infatti, i CTD e i PVR devono operare alla stregua di un “internet point”, mettendo a disposizione del giocatore gli strumenti e i canali informatici necessari per raggiungere la piattaforma aziendale gestita all’estero, ossia devono limitarsi a svolgere una mera attività di agevolazione del contatto commerciale tra il cliente ed i “bookmaker”, concessionari esteri, senza avere alcuna possibilità di influenza sulla conclusione del contratto e, meno che mai, sulla gestione della stessa.
In realtà, però, risulterebbe come questa apparente operatività aziendale nascondesse la raccolta fisica delle scommesse e dei giochi, sottoposti al sistema concessorio nazionale, attraverso l’apertura, a favore dei singoli punti commerciali, di una serie di “fidi” con le conseguenti e successive compensazioni delle poste di “dare” ed “avere” (con cadenza mensile, trimestrale o semestrale), a seconda delle vincite accumulate dalla clientela.
Questa rete commerciale - spiegano ancora gli investigatori - avrebbe avuto una struttura gerarchica a catena che avrebbe visto al vertice i cosiddetti “master”, ovvero l’apice della rete commerciale del “brand” in un determinato territorio, raccogliendo sotto la propria responsabilità, talvolta con altri intermediari, una serie di punti commerciali che si relazionavano direttamente con la clientela.
Ciascuno dei componenti della rete commerciale vantava dei profitti in percentuale sul totale del giocato; sicché, prima di essere trasferiti all’estero, agli utili derivanti dalla raccolta (al netto delle vincite dei giocatori) venivano sottratte le provvigioni spettanti a ciascuno.
IL SISTEMA DEL CO-BANCO E LA SOCIETÀ DI FATTO TRA MASTER E BOOKMAKER
Talvolta i “master”, che vantavano il controllo piramidale di un numero significativo di punti commerciali, “bancavano” una quota parte delle scommesse condividendo con il “bookmaker” il rischio d’impresa connesso all’andamento delle attività, così partecipando alle vincite e alle perdite nella percentuale pattuita (il cosiddetto “co-banco”).
Questa modalità operativa – affermano però gli investigatori - genererebbe sempre un’attività illecita: il “co-banco”, infatti, celerebbe l’esistenza di una società di fatto tra il “bookmaker” ed il “master”, che condividono i rischi economici connessi alla gestione del servizio e che vi conferiscono il primo il sistema gestionale in remoto ed il secondo la rete commerciale dedita alla diffusione del prodotto.
Ne deriverebbe, allora, come il soggetto gerente il servizio non sia l’apparente concessionario ma la società di fatto, che utilizzerebbe quella concessione per esercitare l’attività di gestione e raccolta dei giochi e delle scommesse.
Poiché questa operazione avverrebbe evidentemente senza alcuna autorizzazione dell’ADM, ne deriverebbe la realizzazione di una forma vietata di cessione della concessione, ovvero di un suo utilizzo da parte di un soggetto terzo (la società di fatto), che si interporrebbe tra il concessionario e l’utente finale.
In entrambi i casi, l’attività di raccolta delle scommesse sarebbe esercitata da un soggetto senza concessione e perciò illecita.
DALLE CORSE DEI CAVALLI FINO ALLE BISCHE CLANDESTINE
Nel corso delle indagini è stato inoltre rilevato l’esercizio, da parte di alcuni componenti del sodalizio, di diverse attività illecite come l’esercizio abusivo di attività creditizia; l’organizzazione di corse clandestine di cavalli con la raccolta delle scommesse; la creazione di alcune sale adibite a “bische clandestine” e gestite da soggetti ritenuti appartenenti o comunque vicini a cosche di ‘ndrangheta reggine; il riciclaggio e il traffico di stupefacenti.
QUELLA MANIA DI OSTENTARE IL LUSSO SUI SOCIAL
Dall’inchiesta emergerebbe poi una certa ostentazione, da parte alcuni associati, di auto e di orologi di lusso (Ferrari, Rolex, ecc), di frequenti soggiorni in suite presso hotel a 5 stelle (tra i quali il “Bellagio” di Las Vegas), la disponibilità di cospicue somme di denaro in contante; elementi che sarebbero comprovati anche da alcune immagini che gli stessi pubblicavano anche sui propri profili “social”.
Un episodio emblematico della disponibilità di rilevanti somme di denaro e del “modus operandi” utilizzato dall’organizzazione per il riciclarle, sarebbe quello riferito al novembre del 2016 quando, durante un controllo di polizia eseguito a Salerno dalla Guardia di Finanza, vennero ritrovati e sequestrati a bordo dell’auto di un presunto associato, che si stava recando a giocare in un casinò, 42.980 euro in contanti.
Lo stesso, dopo il sequestro della somma, si sarebbe preoccupato di trovare delle giustificazioni da dare ai finanzieri, iniziando a fare delle telefonate ad una serie di amici o soci ai quali avrebbe chiesto di mandargli delle attestazioni di vincita (delle schedine vincenti) presso le agenzie scommesse, di importo inferiore ai 3 mila euro.
Significativo, al riguardo, sarebbe il passaggio di una di queste conversazioni nella quale l’interlocutore, non riuscendo a comprendere le motivazioni della richiesta aveva risposto banalmente: “Che vuol dire, hai vinto?”.
L’INFILTRAZIONE NEL BOWLING E NEL NOLEGGIO DELLE SLOT
Nell’ambito delle indagini, ancora, emergerebbe una presunta infiltrazione della cosca Piromalli nelle imprese riferibili a Santo Furfaro, tra cui il Susan Bowling che si trova all’interno del Parco Annunziata di Gioia Tauro; ed in un’impresa dedita al noleggio, su scala nazionale, di slot e VLT.
Le investigazioni sono state ampliate progressivamente, con il contributo del Centro Operativo della Direzione Investigativa Antimafia di Reggio Calabria, nei confronti delle società di diritto maltese “Sks365 Malta Ltd” (già “Sks365 Group Gmbh”), titolare del marchio “PlanetWin365”, e “Oia Services Ltd”, titolare dei marchi “Betaland” ed “Enjoybet”, che hanno strutturato sul territorio italiano una ramificata rete commerciale costituita da CTD, PVR ed Agenzie.
Gli inquirenti precisano, in riferimento alla “SKS365” che le indagini hanno riguardato esclusivamente la proprietà ed il management che ha gestito la società fino al 2017, ovvero prima della sua cessione ai nuovi proprietari, nei cui confronti non sono emersi elementi di responsabilità.
Grazie alle dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia, si sarebbe accertato che queste società, anche dopo aver aderito alla procedura di regolarizzazione per emersione prevista dalle leggi di stabilità 2015 e 2016 (la cosiddetta “Sanatoria”), avrebbero continuato ad effettuare una raccolta parallela a quella legale attraverso dei siti web “.com” che sarebbero stati gestiti, anche in modalità di “co-banco”, da soggetti ritenuti riconducibili a diverse organizzazioni mafiose, così integrando, tra l’altro, il reato di "esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa".
IL MERCATO “INACCESSIBILE” SENZA IL PLACET DELLE COSCHE
Cosa che secondo gli inquirenti sarebbe avvenuta sulla base del presupposto che - come confermerebbero gli stessi collaboratori di giustizia - in determinate aree del Paese, tra le quali la Calabria, in particolare la provincia di Reggio, non sarebbe possibile accedere al mercato dei giochi e delle scommesse senza il preventivo accordo con i sodalizi criminali che ne detengono il controllo.
Quanto alla diffusione sul territorio della nostra regione delle varie agenzie della “Planetwin365”, sarebbero stati anche appurati dei rapporti ritenuti illeciti da parte di Antonio Zungri (nella sua qualità di “master regionale Calabria”) e di David Laruffa (come “Agente” regionale), con esponenti di ‘ndrangheta o comunque “gravitanti” in contesti del crimine organizzato.
In particolare si ipotizza l’infiltrazione di esponenti della cosca Pesce-Bellocco nella rete commerciale destinata alla distribuzione territoriali del brand di scommesse.
QUEI 2,4 MILIARDI DI EURO “NASCOSTI” AL FISCO
Inoltre, con il contributo del Nucleo Speciale Tutela Privacy e Frodi Tecnologiche della Guardia di Finanza, che ha eseguito un’articolata attività tecnica di ispezione informatica nella principale società italiana che ha creato e gestito la parte software delle stesse aziende estere, si sarebbe scoperto che queste ultime, nonostante avessero aderito alla “sanatoria”, avrebbero di fatto continuato ad effettuare la raccolta illecita del gioco e delle scommesse in Italia attraverso dei siti non autorizzati, con suffisso “.com”, come “Palace777”, “BetFaktor”, “GoldenGool”, “PlanetWin365”, “PremierWin365” e “JokerBet”.
Gli inquirenti sostengono pertanto che così facendo avrebbero agevolato l’infiltrazione mafiosa nel tessuto economico nazionale facendogli guadagnare imponenti profitti, omettendo peraltro di dichiarare maggiori ricavi per un importo rilevante: oltre 2,4 miliardi di euro a cui corrisponde una IRES non versata per quasi 22 milioni e un’imposta unica sulle scommesse non versata per più di 38 di milioni.
Quanto ai marchi “Betaland” ed “Enjoybet”, riconducibili alla società maltese “Oia Services Ltd”, si sarebbero accertate le stesse modalità illecite di gestione dell’attività grazie anche agli accordi con gli esponenti della cosca “Tegano”.
Anche in questo caso si sarebbe scoperto che la “Oia Services Ltd”, pur avendo aderito alla sanatoria, attraverso la sua rete commerciale, e negli anni 2015 e 2016, non avrebbe dichiarato in Italia ricavi per 440 milioni, a cui corrisponde una IRES non versata per 8 milioni e un’Imposta Unica sulle Scommesse pari a 12 milioni.
Infine, sempre seguendo lo stesso percorso investigativo, è stata approfondita la rete commerciale sviluppata sul territorio italiano dalla “Gvc New Limited”, un’altra società maltese collegata alla “Oia Services Limited”.
Al riguardo, si sarebbe appurato che la stessa, dal 2012 al 2014, avrebbe esercitato sul territorio nazionale la raccolta del gioco e delle scommesse per 237 milioni di euro non pagando un’IRES di 4 milioni e un’Imposta Unica di altri 9.
I FERMATI DALLA DDA REGGINA
Paolo Carlo Tavarelli, nato a Napoli il 28/4/1970; Ivana Ivanovic, nata in Jugoslavia il 23/10/1973; Paolo Sipone, nato a Roma il 07/09/1965; Giuseppe Decandia, nato ad Altamura (BA) il 13/4/1975; Domenico Tegano, nato a Reggio Calabria il 10/12/1992; Bruno Danilo Natale Iannì, nato a Reggio Calabria il 25/6/1992; Domenico Aricò, nato il 21/12/1968 a Reggio Calabria; Carmelo Caminiti, nato a Reggio Calabria il 2/1/1961; Francesco Franco, nato il 14/12/1992 a Reggio Calabria; Antonio Zungri, nato a Rosarno (RC) il 22/4/1971; David Laruffa, nato a Rosarno (RC) il 7/12/1973; Giuseppe Abbadessa, nato a Rosarno (RC) il 24/1/1973; Santo Furfaro, nato a Gioia Tauro (RC) il 19/10/1966; Francesco Sergi, nato l’11/3/1978 a Palmi (RC); Antonio Ricci, nato a Bari il 29/11/1976; Gabriele Caliò, nato a Catanzaro il 16/7/1979; Danilo Sestito, nato a Catanzaro il 26/6/1981; Davide SchEMBRI, nato il 21/11/1974.
DE RAHO: ECONOMIA NON DECOLLA, MAGGIORE ATTENZIONE DALLA POLITICA
Per Federico Cafiero de Raho, procuratore nazionale antimafia, “il settore dei giochi online presenta grandi criticità”, e questo perché non ci sarebbero “controlli che evitino che la criminalità mafiosa si infiltri, creando un danno enorme alla nostra economia. La politica deve prestare attenzione a questi aspetti, altrimenti l'economia non riuscirà a decollare”.
“Senza attenzione - ha ribadito - l'economia, quella legale e pulita alla quale tengono gli imprenditori, continuerà a essere infiltrata e inquinata dalle mafie e non riuscirà mai a recuperare. E il Sud - ha concluso Cafiero de Raho - continuerà a essere, così come qualcuno l'ha definito, la zavorra del nostro Paese”.
Al termine delle investigazioni, così, è stato disposto il sequestro per equivalente di oltre 93 milioni di euro in relazione alle imposte evase (IRES e IUS), e di altri 123 come profitto ritenuto conseguito illecitamente dall’organizzazione criminale.