Arresto del “boss” Labate, fermato a bordo di uno scooter

Reggio Calabria Cronaca

Pietro Labate, il latitante 62enne considerato dagli inquirenti boss della omonima cosca di 'ndrangheta, catturato ieri sera dalla Squadra mobile di Reggio Calabria, al momento dell'arresto guidava uno scooter nel suo quartiere, Gebbione, alla periferia sud della città.

L'arresto è avvenuto intorno alle ore 22,30, quando i segugi della Mobile, diretta da Gennaro Semeraro, hanno avuto la certezza che sotto il casco si nascondesse il volto di Pietro Labate, che ha tentato una disperata fuga ma è stato subito bloccato e ammanettato.

Il boss, irreperibile dall'aprile del 2011 quando era stato colpito da ordinanza di custodia cautelare in carcere per associazione mafiosa ed estorsione nell'ambito dell'operazione Archi, era stato poi condannato in primo grado a 20 anni di reclusione. Pietro Labate viaggiava su uno scooter in via Argine Torrente Sant'Agata, poco distante dal luogo della cattura gli investigatori hanno scovato anche il rifugio di Labate, che non era armato e non deteneva armi neanche nel covo, all'interno del quale sono stati sequestrati gli oggetti in uso a Labate, tra cui un tablet, che ora sono al vaglio degli inquirenti, così come al vaglio degli investigatori vi è anche la posizione del proprietario dell'appartamento in cui Labate si nascondeva e altre persone che potrebbero avere fiancheggiato il latitante.

"Il primo aspetto che bisogna curare nell'occupazione del territorio da parte dello Stato è il controllo della criminalità, e si esegue innanzitutto evitando che ci siano latitanti. L'esistenza di latitanti rappresenta la forza della 'ndrangheta, con questo arresto si dimostra che lo Stato si sta reimpossessando del territorio".

Lo ha detto il procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho, nel corso della conferenza stampa tenuta stamane in Questura per illustrare i dettagli della cattura del latitante Pietro Labate, 62enne considerato boss dell'omonima cosca di 'ndrangheta. Cafiero De Raho ha poi elogiato l'operato della Squadra Mobile: "Lo Stato risulta particolarmente forte nel momento in cui i suoi movimenti non trapelano all'esterno, pensare che un latitante protetto come Labate venga raggiunto in strada, significa che la rete di polizia che gli è stata addosso non ha fatto filtrare nemmeno il sospetto che gli si fosse col fiato sul collo, una professionalità tale che ha consentito di arrivare in un territorio governato assolutamente dalla cosca". "

I latitanti - ha aggiunto il procuratore capo - anche qui in Calabria continuano a stare nel territorio dove comandano, nel momento in cui si interromperanno i contatti fra società e 'ndrangheta, in quel momento la 'ndrangheta sarà finita e destinata a eliminazione sol che la popolazione cominci a comprendere che la 'ndrangheta è un piombo che non può continuare a gravare sulla società civile".

"E' stato un duro lavoro - ha spiegato il capo della Mobile, Gennaro Semeraro - protratto per oltre un anno, abbiamo lavorato giorno e notte, questo risultato ci ripaga degli enormi sacrifici fatti dai miei uomini diretti dal funzionario Francesco Rattà, un ottimo collaboratore che ha dimostrato in ogni circostanza, e non solo in questa occasione, di essere un investigatore di alto profilo". "Non abbiamo fatto il minimo errore - ha concluso Semeraro - perché sapevamo bene che anche il più piccolo errore l'avremmo pagato caro".