Posti letto Utic rimborsati ma mai attivati, indagato il management della clinica S. Anna
Il reparto Utic - ovvero l’unità di terapia intensiva coronarica destinata al trattamento delle patologie cardiache acute - mai realmente entrato in funzione, anzi usato per ricoveri ordinari, e che avrebbe comunque consentito di incassare dal Servizio sanitario nazionale rimborsi per oltre 10 milioni e mezzo di euro.
È quanto sostengono sia avvenuto nella clinica privata “Villa S. Anna” di Catanzaro - struttura sanitaria molto nota in Calabria e centro di riferimento regionale di alta specialità per il trattamento e la cura delle malattie cardiovascolari - le fiamme gialle del capoluogo che stamani, su ordine del Gip Gaia Sorrentino, hanno eseguito un sequestro finalizzato alla confisca e interdetto per un anno il management della struttura, indagato per l’ipotesi di truffa aggravata e continuata ai danni del servizio sanitario e di frode nelle pubbliche forniture.
L’indagine - denominata “Cuore Matto” - è partita all’inizio dell’anno scorso e l’attenzione degli investigatori si è concentrata sulla gestione dell’Utic, ufficialmente attivo al S. Anna ma che secondo gli inquirenti non sarebbe invece mai entrato in funzione.
Le fiamme gialle sostengono che fin dal 2013, la casa di cura fosse accreditata dal servizio sanitario regionale alla gestione dei posti-letto Utic, che richiedono un monitoraggio continuo e costante dei parametri vitali nei pazienti con gravi scompensi cardiaci in atto.
Al termine delle attività sarebbe però emerso “inequivocabilmente” che lo stesso reparto non sia mai stato concretamente avviato, che fosse senza attrezzature conformi agli standard del servizio e del personale medico e paramedico adeguatamente preparato e in numero sufficiente a garantire un’efficace turnazione e assistenza 24 ore al giorno.
I pazienti cardiologici acuti, pertanto, sarebbero stati assistiti e trattati non presso la specifica unità, come normalmente sarebbe dovuto accadere, ma nei reparti di cardiologia o di unità terapia intensiva post-operatoria (gli Utipo), mentre i posti letto ufficialmente destinati all’Utic avrebbero ospitato dei ricoveri ordinari.
Così facendo si ipotizza che la clinica sia riuscita a ottenere dal servizio sanitario regionale - tra il 2013 e il 2019 - un profitto considerato illecito e stimato in oltre 10 milioni di euro.
Sul totale di queste somme il Gip del Tribunale di Catanzaro ha così disposto il sequestro preventivo, anche per equivalente. I reati - in concorso fra loro - sono stati dunque contestati a Rosanna Frontera, 56enne di Catanzaro e legale rappresentante della struttura; a Giuseppe Failla, 65enne di Catanzaro, direttore generale della clinica; a Gaetano Muleo, 75enne di Catanzaro residente a Perugia, direttore sanitario della casa di cura dal 2010 e fino all’agosto del 2019.
A carico del legale rappresentante e del direttore generale è stato applicato il divieto temporaneo, per un anno, di esercitare attività professionali o imprenditoriali, anche con riferimento a incarichi direttivi di persone giuridiche.
Tutti sono stati iscritti nel registro degli indagati anche per l’ipotesi di “violenza o minaccia per costringere taluno a commettere un reato”.
Sempre secondo la tesi degli investigatori, una volta appreso dell’esistenza dell’indagine della Guardia di Finanza, avrebbero minacciato alcuni medici in servizio nella casa di cura di andare incontro a conseguenze sul piano lavorativo e personale nel caso in cui non avessero ritrattato o quantomeno rimodulato le loro dichiarazioni rilasciate alla polizia giudiziaria sul presunto non funzionamento dell’Utic.
Altri approfondimenti sono ancora in corso per valutare l’eventuale coinvolgimento di altri dipendenti della clinica e delle strutture pubbliche - come l’Asp di Catanzaro e la Regione Calabria - deputate alla gestione e alla verifica dei requisiti organizzativi, strutturali e tecnologici necessari per l’accreditamento delle strutture private.
L’indagine è stata eseguita dal nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza e, successivamente all’accertamento delle prime ipotesi di reato, poi affidata ai Pm Vito Valerio e Chiara Bonfadini, con il coordinamento dell’aggiunto Giancarlo Novelli e la direzione del procuratore Nicola Gratteri.