Per la Dia è l’imprenditore della ‘ndrangheta reggina: confiscati beni per oltre 20mln
Confisca da 20 milioni di euro per Emilio Angelo Frascati, 64enne noto imprenditore reggino nel settore della grande distribuzione e nel commercio di autovetture.
La Direzione investigativa antimafia ha infatti eseguito a suo carico il provvedimento emesso dal Tribunale di Reggio Calabria.
La confisca segue il sequestro dei beni effettuato a febbraio 2019 (QUI) su proposta formulata dal Direttore della Dia nel contesto di una attività investigativa coordinata dal Procuratore Distrettuale Giovanni Bombardieri.
Oggi sono state così confiscate otto aziende - per quattro è stata disposta la confisca dell’intero capitale sociale e del patrimonio aziendale, per le altre quattro quella delle quote riconducibili a Frascati - tutte con sede a Reggio Calabria e attive nei settori della grande distribuzione alimentare, del commercio automezzi, delle costruzioni ed immobiliare; sigilli, poi, a venti immobili, per l’intera proprietà o in quota, e a rapporti finanziari.
Con lo stesso provvedimento il Tribunale ha applicato nei confronti del 64enne la sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per la durata di 3 anni e 6 mesi.
Il Tribunale ha riconosciuto anche la “pericolosità sociale” dell’imprenditore, fondata sulla operazione “Fata Morgana” (QUI) - poi confluita nella “Ghota” (QUI) - a seguito della quale il Frascati è stato arrestato con l’accusa di avere fatto parte della cosca Libri.
L’uomo, alla fine della guerra di mafia, sarebbe stato il referente della ‘ndrangheta nel settore della grande distribuzione alimentare.
Il 64enne è stato inoltre accusato di aver turbato il regolare svolgimento delle gare pubbliche nell’affare che consentiva ad un altro imprenditore di inserirsi nel consorzio dei commercianti del centro commerciale “La Perla dello Stretto” di Villa San Giovanni.
Frascati è stato condannato, con sentenza di primo grado emessa nel marzo del 2018 dal Gup di Reggio Calabria, a 13 anni e 4 mesi di reclusione per associazione di tipo mafioso e turbata libertà degli incanti, aggravata dal metodo mafioso.
Numerosi collaboratori di giustizia lo hanno indicato come imprenditore di riferimento della ‘ndrangheta reggina, e in particolare dalla famiglia De Stefano oltre che di quella dei Libri.
I rapporti con esponenti di primo piano dei De Stefano sarebbero emersi anche nell’ambito dell’operazione “Recherche” (QUI), mentre la vicinanza con esponenti apicali del sodalizio Libri anche dalla “Roccaforte” (QUI).
Le indagini svolte dalla Dia sull’intero patrimonio dell’imprenditore hanno consentito di accertare una netta sproporzione tra i redditi dichiarati e gli investimenti effettuati.
Per i giudici tale sproporzione sarebbe “di provenienza illecita le risorse impiegate e, di conseguenza, inquinati i ricavi successivamente ottenuti”.
Il provvedimento del collegio giudicante afferma testualmente “si è dunque in presenza di una di quelle ipotesi comunemente definite di c.d. <> … che pur operando nei mercati ufficiali con modalità formalmente legali … si avvale nel concreto svolgimento dell’attività di impresa del c.d. <> e/o costituisce strumento di cui si serve l’organizzazione criminale per conseguire le proprie finalità illecite e mantenere il controllo del territorio”.