Operazione Vulcano. Cassazione respinge ricorso, arrestati uomini di fiducia dei boss
Tre persone sono state arrestate - su ordine della Sezione Riesame del Tribunale di Reggio Calabria - essendo indagati nell’ambito dell’operazione “Vulcano” (QUI), un’inchiesta che, scattata nel 2016, aveva portato al fermo di 12 persone (QUI).
All’epoca gli inquirenti ritennero così di aver smantellato un’associazione a delinquere attiva nel traffico internazionale di cocaina, che una volta giunta in Italia finiva nelle mani delle famiglie di ‘ndrangheta dei Molè, dei Piromalli, degli Alvaro e dei Crea.
Le indagini riguardarono anche il comandante di una nave container proveniente dal Sudamerica, la MSC Pho Lin, impiegata sulla tratta “California Express”, la rotta di maggior interesse per l’importazione della polvere bianca dai paesi latino americani all’Europa.
Il capitano, ritenuto al soldo dei narcotrafficanti, una volta giunto vicino alle coste italiane, avrebbe permesso il trasbordo dello stupefacente su piccole imbarcazioni (QUI), un sistema che avrebbe permesso di eludere i controlli doganali all’interno del porto di Gioia Tauro.
L’ordine di carcerazione emesso nelle ultime ore, dunque, è stato eseguito a carico di Francesco Ferraro, Gregorio Marchese e Luca Martinone.
La Corte di Cassazione, difatti, lo scorso 29 aprile, ha respinto il ricorso dei tre imputati rendendo esecutivo il provvedimento restrittivo nei loro confronti.
Nel frattempo Ferraro e Marchese sono stati condannati anche in Appello per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti e Martinone per porto abusivo di armi e danneggiamento con l’aggravante mafiosa.
IL RUOLO DEGLI INDAGATI
Secondo gli inquirenti, quindi, Martinone sarebbe stato l’uomo di fiducia di Michele Zito, ritenuto il dominus dell’organizzazione.
In tale veste si sarebbe così occupato di gestire la droga smerciata dal gruppo criminale e sarebbe stato sempre immediatamente operativo, interfacciandosi con gli altri presunti sodali ed eseguendo le direttive ricevute.
L’uomo si è presentato spontaneamente nella Stazione dei Carabinieri di Gioia Tauro, dove si è proceduto all’arresto.
Quanto a Ferraro, invece, quest’ultimo è considerato l’uomo di fiducia di Antonino Pesce (39 anni), e si sarebbe occupato principalmente della raccolta di denaro per l’acquisto della droga.
Anche lui, acquisita la notizia del provvedimento pendente a suo carico, si è presentato da solo presso il Gruppo della Guardia di Finanza di Gioia Tauro dove è stato tratto in arresto.
Sia Marchese che Ferraro sono stati successivamente accompagnati nella Casa circondariale di Palmi.
Quanto a Martinone, sebbene la condotta dello stesso sia stata ritenuta dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria “bordeline”, con riferimento alla intraneità all’associazione mafiosa, si ritiene abbia partecipato ad un attentato da compiersi, con l’uso delle armi ed a scopo tipicamente intimidatorio, che sarebbe servito per rafforzare il potere della cosca mafiosa dei Molè sul territorio di Gioia Tauro.
La tesi è che lo stesso, su mandato di Michele Zito, avrebbero dovuto danneggiare un’attività commerciale sempre a Gioia Tauro.
Il provvedimento restrittivo nei suoi confronti è stato notificato direttamente presso la Casa circondariale di Vibo Valentia, dove è già ristretto per altra causa.
L’OPERAZIONE è stata condotta dagli uomini della Sezione Goa del Gico, Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Reggio Calabria con il coordinamento del Procuratore Capo della Direzione Distrettuale Antimafia Giovanni Bombardieri, dell’Aggiunto Gaetano Paci e del Sostituto Francesco Ponzetta. L’ordinanza di custodia cautelare è stata emessa dalla Sezione Riesame del Tribunale del capoluogo.