Col sistema “apri e chiudi” le aziende cinesi duravano solo tre anni, e non pagavano le tasse: 29 arresti
Cinque persone finite in carcere, altre 24 ai domiciliari, e un obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Ma anche il sequestro di beni per oltre 40 milioni di euro, considerati provento illecito di un’organizzazione accusata di associazione per delinquere, bancarotta fallimentare e di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.
Sono i risultati dell’operazione “A solis ortu” (QUI) condotta dalla Guardia di finanza di Firenze con la collaborazione dei reparti del corpo di altre province, nell’ambito dell’indagine coordinata dal Procuratore Aggiunto Luca Tescaroli e dal Sostituto Procuratore Fabio Di Vizio della Procura della Repubblica del capoluogo toscano, diretta dal Procuratore Capo Giuseppe Creazzo.
I finanzieri stanno infatti procedendo, nelle province di Firenze, Arezzo, Prato, Grosseto, Rovigo e Vibo Valentia, all’esecuzione di un’ordinanza emessa del gip del Tribunale locale, Gianluca Mancuso.
Sono inoltre in corso perquisizioni di una sessantina di siti produttivi cinesi del distretto economico fiorentino e pratese, con l’ausilio di Ispettori della Direzione Provinciale di Firenze dell’Inps, l’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale, del Dipartimento di Prevenzione, Igiene e Sicurezza sui Luoghi di Lavoro dell’Azienda Sanitaria Locale Toscana-Centro e del Reparto Operativo Aeronavale della Guardia di Finanza di Livorno.
IL RUOLO DEI CONSULENTI
Tra le sbarre sono finiti cinque consulenti che, appartenenti a uno studio associato, per l’accusa sarebbero stati ben consapevoli degli illeciti compiuti da innumerevoli imprese ricondotte a 24 imprenditori cinesi, tutti messi ai domiciliari, in quanto considerati i titolari “di fatto” delle aziende operanti nel settore della produzioni di articoli di pelletteria.
Per gli inquirenti gli imprenditori avrebbero utilizzato il meccanismo “apri e chiudi” e non avrebbero pagato le imposte.
L’indagine ha portato alla denuncia di altri cittadini cinesi di oltre 80 imprese coinvolte, mentre la Procura di Firenze ha promosso istanza di fallimento nei confronti di 19 imprese, di cui 16 già dichiarate fallite per i debiti erariali accumulati negli anni, quantificati in oltre dieci milioni di euro.
IL MODUS OPERANDI
Le indagini sono partite dalle analisi condotte dai finanzieri nei confronti di imprese del distretto tessile e della pelletteria fiorentino pratese.
Indagini che hanno poi confermato l’operatività delle molteplici ditte individuali riconducibili agli imprenditori cinesi, accomunate dal rispetto formale degli obblighi dichiarativi sia fiscali che contributivi.
A seguito di un’approfondita analisi sono emersi consistenti debiti nei confronti dell’Erario, e un’estrema brevità del “ciclo di vita” operativo, che si attesta su una media di circa tre anni e che sarebbe funzionale per eludere il sistema dei controlli.
Il modus operandi era lo stesso. Le ditte venivano aperte con procedure semplificate, si succedevano in sequenza negli stessi luoghi, con le stesse attrezzature.
L’imprenditore reale, inoltre, non coincideva mai con quello formalmente individuato, spesso irreperibile alle ispezioni. L’imprenditore “formale” era spesso estraneo all’impresa o spesso era un semplice dipendente.
Il prestanome nell’azienda consentiva al proprietario di esercitare l’attività senza far fronte ai debiti tributari, al riparo da immediate responsabilità, ricostruibili solo attraverso articolate e complesse indagini.