Incendio in impianto rifiuti in Lombardia, spunta l’ombra della ‘ndrangheta
C’è anche l’ombra della ‘ndrangheta nell'inchiesta del pm di Pavia Paolo Mazza e del pm della Dda milanese Silvia Bonardi, che oggi ha portato all’arresto di tre persone e al sequestro di beni per 2 milioni di euro in Lombardia.
Sono stati i militari della Guardia di Finanza e dei Carabinieri Forestali di Pavia, con i colleghi della Polizia giudiziaria della Procura locale, ad eseguire gli arresti, contestando a vario titolo i reati di traffico illecito di rifiuti, incendio doloso, utilizzo ed emissione di fatture false, bancarotta fraudolenta, riciclaggio e autoriciclaggio.
Come dicevamo, sono scattati anche i sigilli a diversi beni, tra cui disponibilità finanziarie, fabbricati, terreni ed autoveicoli, ritenuti come il “frutto dell’ingiusto profitto” ottenuto non pagando le spese di recupero o di smaltimento dei rifiuti e non versando il “Tributo speciale regionale”.
Le indagini sono partite nel settembre del 2017 accertando diversi presunti illeciti, anche di natura ambientale, e la causa dell'incendio dei rifiuti stoccati nell'impianto di trattamento di Mortara nel Pavese.
IL “SISTEMA CRIMINALE”
Gli accertamenti - coordinati dalla Dda di Milano - hanno poi portato alla luce quello che gli inquirenti definiscono come “un sistema criminale” impegnato a massimizzare i profitti del traffico illecito di rifiuti.
L’ipotesi è che due degli arrestati, entrambi gestori dell'impianto di smaltimento, dopo aver ammassato indistintamente quintali di rifiuti pericolosi li avrebbero smaltiti senza alcuna operazione di trattamento o recupero, ottenendo profitti illeciti per circa due milioni.
Una volta essersi accorti che la gestione dell'impianto era divenuta insostenibile a causa dell'enorme quantità di rifiuti, avrebbero poi deciso di dar fuoco al piazzale al solo scopo di ripulire, a costo zero, l'intera azienda di smaltimento, noncuranti dell'enorme danno per la salute.
Dopo l'incendio la società è stata dichiarata fallita e i due gestori, attraverso società intestate a prestanome, avrebbero “lavorato” per far sparire i capitali illeciti.
IL TRAFFICO VERSO L’ESTERO
Dalle intercettazioni oltre al presunto traffico illecito, emergerebbe l’intenzione degli arrestati di avviare nuovi traffici illeciti per smaltire proprio i rifiuti interessati dall’incendio del 2017, verso destinazioni estere.
Nelle captazioni, come affermato dal gip, sarebbe emerso che le persone coinvolte si siano adoperate per “organizzare l'esportazione in forma illecita di notevoli quantità di rifiuti pericolosi da convogliare in siti” di altri Paesi.
Uno degli arrestati, che sarebbe “al centro di una rete di trafficanti di rifiuti a livello internazionale”, avrebbe cercato di “avviare allo smaltimento in Bulgaria rifiuti stoccati in un impianto, la Ecoross, di Corigliano Calabro, in provincia di Cosenza”.
L’ultimo progetto, “anche questo non andato a buon fine, aveva riguardato il conferimento dei rifiuti, anche per 10.000 tonnellate al mese, intermediati dalla società Carpe Diem di Torino, in Bulgaria”.
Infine, il controllo su due “container inviati da Sviluppo Industriale” al porto di Genova “tramite uno spedizioniere per l'imbarco verso il porto di Quasim in Pakistan”. Controllo che ha bloccato anche questo tentativo.
IL MODUS OPERANDI
L’analisi dei conti correnti, la ricostruzione dei flussi finanziari e l’esame dei documenti ha permesso agli investigatori di ricostruire il presunto “sistema” che, anche attraverso l’emissione e l’utilizzo di fatture false, avrebbe consentito agli amministratori di distogliere enormi capitali che sarebbero dovuti servire per pagare i vari creditori, commettendo, di fatto, il reato di bancarotta fraudolenta.
Inoltre i due uomini, con il terzo fermato, si sarebbero adoperati per riciclare ingenti somme di denaro provento dell’illecito traffico di rifiuti e della bancarotta.
LE MINACCE ALLA MOGLIE
Nell’ordinanza a firma del gip di Milano Guido Salvini, spunta poi un episodio collaterale all’operazione di oggi, ma che tuttavia risulta “rilevante al fine di comprendere l'insieme della vicenda”.
L’episodio si riferisce alle presunte minacce all'ex moglie dell’amministratore unico della società finito in carcere per aver dato fuoco ai “rifiuti stoccati”, con un altro amministratore, anche lui arrestato.
Nel maggio 2019 l’ex consorte del titolare dell'azienda avrebbe ricevuto minacce, come: “stai zitta altrimenti ti faccio fuori”, da un presunto 'ndranghetista già coinvolto nella maxi indagine Infinito del 2010 (QUI) “come componente di una Locale” del Milanese.
Il motivo delle minacce, spiega il gip, “risiedeva nei dissidi” tra la donna e l'ex marito sulla “gestione dell'impianto e delle altre società collegate”.
E l’ombra della ‘ndrangheta, scrive ancora il gip, “getta una luce poco rassicurante sull'episodio di minaccia in danno della testimone”.
La donna ha spiegato agli inquirenti di essere “certa che l'incendio sia stato dolosamente appiccato” dal marito “perché anche Bi. me lo confermò la sera stessa, il 6 settembre 2017, nel corso di una conversazione (...) In quel frangente mi disse che era stato necessario incendiare l'impianto a causa delle difficoltà economiche dell'azienda, per incassare l'indennizzo dell'assicurazione ed anche perché sicuramente all'esito del sopralluogo dell'Arpa l'impianto stesso sarebbe stato chiuso per le irregolarità nello stoccaggio”.
Ai domiciliari, non per l'accusa di incendio, è finito l’amministratore di un'altra società.