Reggio. Nel libro di Scuncia racconti di surrealtà
Racconti di surrealtà nel romanzo di Daniela Scuncia dal titolo “Le grazie di Olimpia e altri racconti”. L’opera verrà presentata nello spazio Opena di via Filippini 24 a Reggio Calabria venerdì 10 dicembre alle 17.30. L’evento, presentato da Francesca Neri, è stato promosso dall’associazione culturale Anassialaos.
L’autrice, dopo una breve esperienza come insegnante, ha deciso decide di seguire la sua vocazione maturando esperienze sia come autrice e lettrice in diversi reading e svolgendo un'intensa attività di promozione culturale. Alcune sue prose e poesie inedite sono pubblicate in rete da Poetarum Silva. “Lettrice seriale” e penna consapevole animata da una sottile vena ironica, ha finalmente deciso di pubblicare una prima raccolta narrativa.
Il volume contiene tredici racconti legati tra loro da diversi stati di surrealtà tra i quali: una donna attenta alle etichette comincia a vederle attaccate addosso alla gente, e infine scopre la sua; un piccolo elefante rosa diviene oggetto di vendetta perché si nutre di albe e tramonti sottraendo così tempo prezioso alle persone; l'ultima sirena cerca l'amore e si ritrova con una fiocina piantata nel cuore; una donna appassionata di cucina si lancia nella preparazione del lievito madre, ma la cosa le sfugge di mano e ha la casa invasa da ciotole piene di lievito e una decisione da prendere; due ragazzi australiani inventano una nuova app per android Show your shit, che diventa presto un successo internazionale: un nuovo confine per i social, un modo facile per scoprirci uguali; una passeggiata in un bosco da sola, un temporale estivo e la protagonista si ripara sotto un telo.
Sarà un momento per rivalutare la sua situazione come dentro un sacco per cadaveri o dentro un nuovo utero. La scelta scivolerà semplice, come tutte le cose difficili; un uomo tranquillo, proprietario di un banco di intimo per signora al mercato, vuole comprare Olimpia la super mega bambola per maschi adulti e sani, per farlo dovrà vendere Shirley e Wendy le sue due "ragazze" usate, ma la cosa si trasforma e lo trasforma nell'uomo che aveva sempre sognato di essere. La scrittura non è più lo specchio, diventa il microscopio e la parola è il bisturi con cui la scrittrice attraversa la realtà. La parola diventa una scelta di movimento nel mondo, la forma in cui ella manifesta il vero.
Da questo sguardo impietoso Scuncia ricava i suoi racconti e per sopportarne il peso li riveste di leggerezza e li colloca al confine con l’impossibile. Tali racconti abitano il paradosso, l’iperbole, il surreale perché in questa chiave la realtà può osare, e dire ciò che altrimenti non si potrebbe dire. Sarebbe tutto ammantato di luoghi comuni, certezze, verità prefabbricate che la penna della scrittrice smantella rendendone nudo il nocciolo e poi ancora affonda, perché la pietà è il peggior nemico di noi stessi. L’essere umano è “proteiforme, metamorfico, e transitorio” e la parola dà la possibilità di raccontarlo senza barriere e vincoli.
Tolta anche l’ultima maschera il mondo si rivela nell’intima meschinità, nell’indicibile dolore della perdita perenne, nell’incapacità di trattenere qualunque oggetto o sentimento. Resta il battito d’ali di una esistenza che scompare e la scrittura è modo, scelto dalla Scuncia, di elaborare il fatto di esserci. L’invenzione letteraria le consente di giocare con il fuoco dei sentimenti, e di parlare della fatica di sollevare la testa e camminare da soli, perché è di questo che stiamo parlando, in fondo. Della solitudine, della consapevolezza della nostra preziosa unicità persa nel rumore di fondo.