‘Ndrangheta in Veneto. Ritenuto vicino alle cosce: scagionato giovane rossanese
Era finito sotto processo in Veneto, nell’ambito dell’operazione antimafia “Ermes” (QUI), dello scorso gennaio, accusato di associazione mafiosa, violenza privata, rapina, stalking e lesioni aggravate, insieme ad altri soggetti ritenuti far parte delle cosche della ‘ndrangheta reggina dei Tegano e dei Condello.
Al centro della vicenda giudiziaria un 38enne rossanese, A.V. le sue iniziali. La Direzione Distrettuale Antimafia di Venezia contestava all’uomo e ad altri due indagati di aver inseguito una giovane donna - affiancandola, speronandola e sbarrandole la strada con l’auto - e di averla costretta a modificare il proprio tragitto, a guidare a velocità elevata e con manovre rischiose per sé e per il passeggero e per altri automobilisti, e di averla costretta infine a fermarsi bloccandole le vie di fuga.
A quel punto, sempre secondo gli inquirenti, l’avrebbero trascinata fuori dall’auto e costretta a recarsi in un appartamento per prendere una pistola; in quell’occasione l’avrebbero poi colpita alla testa procurandole delle ferite e per poi impossessarsi del suo cellulare.
Gli investigatori sostennero che il tutto fosse aggravato dall’avere agito con metodo mafioso, consistito sia nell’evocare il collegamento con la ‘ndrangheta – attraverso asseriti rapporti con la cosca Tegano e con il promotore e organizzatore dei Condello - sia nell’ostentare, “in maniera evidente e provocatoria”, un atteggiamento che utile ad “esercitare nella parte offesa quella particolare coartazione e pressione psicologica propria delle organizzazioni mafiose”.
In questo contesto gli inquirenti contestavano una serie di azioni, tra cui l’invio alla vittima di un file audio contenente la registrazione “Non c’è ‘ndrangheta senza rispetto… La grande famiglia è una famiglia onorata. Chi si sente degno resta, chi non si sente degno se ne va”, e di un video nel quale si ribadiva che “un uomo diceva che a casa sua ci sono poche regole e che le regole vanno rispettate mostrando una pistola” e che due strisce nere tatuate sul polpaccio simboleggiavano il lutto per due persone che “ancora dovevano morire”.
Oltre ad aver pronunciato alla donna frasi del tipo “… faccio una strage… sono solo la punta dell’iceberg, tu non sai cosa c’è sotto di me”, le sarebbe stato rappresentato di “avere occhi e orecchie dappertutto” riferendosi a presunti contatti illeciti con le forze dell’ordine che avrebbero avvisato in caso di eventuali denunce.
Per questi fatti il Pubblico Ministero procedente aveva avanzato al Gip distrettuale di Venezia la richiesta del carcere per gli indagati. La difesa – rappresentata dagli avvocati Francesco Nicoletti e Giusy Acri, dello stesso studio - ha chiesto che il proprio assistito venisse sottoposto a interrogatorio, nel corso del quale ha avuto modo di chiarire ogni singolo aspetto della vicenda.
Al termine dell’interrogatorio e in base alle prove addotte dai suoi legali, il 38enne è stato scagionato da tutte le gravissime accuse contestategli.