Dal carcere di Catanzaro a Paravati un’effige di Natuzza allevia la sofferenza dei detenuti
Nel mese di agosto in carcere la solitudine e la disperazione pesano di più. La fede per chi ce l’ha, può essere un grande conforto. Simbolo di una fede semplice è l’effigie del volto di Natuzza realizzata dai detenuti della Casa Circondariale di Catanzaro “Ugo Caridi” e donata in occasione della dedicazione della chiesa di Paravati (QUI) organizzata della Fondazione del Cuore Immacolato di Maria, rifugio delle anime.
La cerimonia, svoltasi di recente, è stata un lungo momento di commozione perché si è svolta alla presenza del direttore del carcere Angela Paravati, del magistrato di sorveglianza Angela Cerra e di due detenuti che rappresentavano la fede della comunità dei ristretti.
Il vescovo della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, monsignor Attilio Nostro, ha pronunciato parole di conforto e di speranza ricordando la semplicità della fede della stessa mistica di Paravati, la sua vicinanza agli ultimi, alle persone più bisognose, ed in particolare ai detenuti, anche per un’infanzia triste, e per la tragica vicenda della mamma, poverissima e a sua volta madre di molti figli, che si racconta sia stata arrestata per il presunto furto di una gallina.
Natuzza da piccola aveva conosciuto sia la fame che il carcere. I suoi due padri spirituali, don Michele e don Pasquale, hanno ricordato la profonda umanità, che unita alla fede, è riuscita a rendere questa piccola donna semplice un simbolo straordinario di umiltà e di fede.
“Le persone detenute nel carcere di Catanzaro, nel loro percorso rieducativo trovano in questa persona un punto di riferimento” ha spiegato la direttrice Angela Paravati “un modello da seguire, perché anche dalla sofferenza può nascere un profonda capacità di amare, di volere il bene del prossimo. E l’attenzione al prossimo è la premessa per qualsiasi forma di reinserimento sociale”.