La droga calabrese arrivava in Sicilia a bordo delle ambulanze, 54 arresti

Calabria Cronaca

Sono 61 le persone indagate dalla Dda di Messina che stamani ha fatto scattate le manette per 54 di loro - 48 finite in carcere e sei ai arresti domiciliari, mentre altre sette sono state sottoposte all’obbligo di presentazione - ritenute tutte far parte di una strutturata criminale che avrebbe gestito il traffico di stupefacenti sull’asse tra la Calabria e la Sicilia.

Le indagini, condotte in maniera sinergica dalle Fiamme Gialle e dagli specialisti del Gico del capoluogo etneo, traggono origine da degli approfondimenti su una delle principali piazze di spaccio del capoluogo peloritano, il quartiere di Giostra, già teatro di eventi criminali e noto per la significativa presenza di esponenti di spicco della criminalità organizzata locale, anche di matrice mafiosa.

In questo contesto, la Dda messinese ha disposto delle indagini tecniche - telefoniche, ambientali, telematiche con un captatore informatico e di video ripresa - che rafforzate con le investigazioni tradizionali, si ritiene abbiano fatto luce su quella che i militari definiscono “un’agguerrita associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico”.

A supporto sono arrivare anche le dichiarazioni rese da un collaboratore di giustizia che avrebbe fatto inizialmente parte del gruppo investigato, dal quale si sarebbe poi dissociato, consentendo agli inquirenti una ricostruzione puntuale della fitta rete di relazioni e degli affari illeciti che costituiscono l’attività della associazione.

Gli investigatori ritengono quindi di aver ricostruito come la “struttura” criminale potesse vantare stabili canali di approvvigionamento, indispensabili per garantire un costante flusso di droga di varie tipologie: cocaina, marijuana e hashish.

I CANALI DI APPROVVIGIONAMENTO

Un primo canale, molto più strutturato degli altri, anche per la documentata frequenza delle consegne illecite, sarebbe stato riferibile a soggetti che avevano la loro base operativa a Reggio Calabria e nelle roccaforti ndranghetiste di San Luca e Melito Porto Salvo.

In particolare, sulla solidità di questo business, garantito anche dall’utilizzo di sistemi di comunicazione criptati, in piena pandemia, e considerate le stringenti restrizioni sulla circolazione di mezzi e persone, i fornitori calabresi, per eludere i controlli e poter beneficiare, nel contempo, di un canale di passaggio prioritario sullo Stretto, utilizzare per la consegna addirittura delle autoambulanze.

Un secondo canale di approvvigionamento, parallelo al primo, sarebbe stato garantito invece da soggetti operanti a Catania, risultati attivi nel quartiere ad alta densità criminale di San Cristoforo del capoluogo etneo.

Gli inquirenti hanno anche individuato una capillare rete di pusher e intermediari, che si sarebbero occupati della gestione operativa del narcotraffico: dalla consegna al dettaglio ai singoli clienti, sino alle forniture più significative.

LA BASE OPERAIVA ALLA GIOSTRA

La base operativa dell’associazione era collocata all’interno di un vicolo cieco del quartiere Giostra di Messina, così da poter costantemente monitorare qualsiasi tipo di accesso.

Allo sesso fine, con l’obiettivo di tutelare il traffico illecito, per nascondere armi e stupefacenti, il gruppo utilizzava una baracca abbandonata.

“In altri termini, un sodalizio criminale dinamico e strutturato, in grado persino di contrattare con organizzazioni calabresi l’acquisto di armi da guerra, come fucili mitragliatori del tipo Uzi, dotati di silenziatore”, evidenziano gli investigatori.

Sul punto, è lo stesso Giudice di prime cure che, nella valutazione della sussistenza delle esigenze cautelari, sottolinea come il traffico di doga sarebbe stato caratterizzato da “tratti di inquietante sistematicità e pianificazione”, definendolo, senza alcuna iperbole, come di tipo “imprenditoriale”.

Sotto il profilo economico-finanziario, infine, si è documentata la disponibilità di beni mobili ed immobili in misura sproporzionata al reddito dichiarato lecitamente ed al tenore di vita sostenuto, da qui il sequestro di unità immobiliari, autoveicoli e motoveicoli, per un valore complessivo stimato di circa mezzo milione di euro.

Parimenti, è emerso come 17 soggetti dei 61 arrestati, risultassero percettori e beneficiari del reddito di cittadinanza.