Imprese. Focus cyber security: reati informatici cresciuti in Calabria di oltre il 12%
Nell’ultimo anno i reati informatici sono cresciuti in Calabria del 12,4%, una dinamica a doppia cifra inferiore rispetto al trend rilevato a livello medio nazionale (+18,4%).
È quanto evidenziato nel focus territoriale del report dell’Osservatorio MPI di Confartigianato regionale che si concentra sulla crescente digitalizzazione dell’economia in un contesto che, quindi, pone in primo piano il tema della sicurezza informatica di enti e imprese.
Guardando nello specifico alle province calabresi, i reati informatici registrano una crescita più accentuata a Vibo Valentia (+26,3%) e Cosenza (+23,5%). L’incidenza del fenomeno è pari a 45 denunce ogni 10 mila abitanti, con intensità maggiore nelle province di Reggio di Calabria (51) e Catanzaro (51).
Nella nostra regione, come riporta il bollettino annuale dell’indagine Excelsior di Unioncamere-ANPAL, nel 2022 si attesta al 37,5% la quota di MPI calabresi che investono in cyber sicurezza, sopra di 10,9 punti percentuali rispetto a quella rilevata nel periodo 2017-2021 (26,6%).
A livello provinciale tale quota risulta essere più elevata per Vibo Valentia (48,5%), Catanzaro (40,8%) e Cosenza (40,6%). Secondo la rilevazione tematica di Eurobarometro della Commissione europea in Italia la quota di micro, piccole e medie imprese che nell’ultimo anno ha fronteggiato almeno un attacco informatico è del 37%, superiore di 9 punti percentuali rispetto al 28% della media Ue.
“La sicurezza informatica è sempre più un fattore determinante per le piccole e medie imprese che mostrano una crescente consapevolezza sui rischi della digitalizzazione e dedicano molta attenzione alla sicurezza, in termini di prevenzione di attacchi ed eventuali azioni di recupero dei dati” affermano il presidente e il segretario di Confartigianato Imprese Calabria, rispettivamente Roberto Matragrano e Silvano Barbalace.
“In particolare - precisano - sono stati monitorati i casi di virus, spyware o malware (esclusi ransomware), attacco di phishing, acquisizione di account o furto di identità, hacking (compresi i tentativi) di conti bancari online, accesso non autorizzato a file o reti, ransomware (malware che limita l’uso dei dispositivi e permette di ripristinare le funzionalità dopo il pagamento di un riscatto), attacco DoS (che impedisce di accedere alla rete o alle risorse del computer), ascolto non autorizzato di videoconferenze o messaggi istantanei”.
“Del resto – affermano ancora Matragrano e Barbalace – il recente attacco hacker verificatosi su scala mondiale in un contesto di crescente digitalizzazione dell’economia, ripone in primo piano il tema della sicurezza informatica di enti e imprese, che deve però andare di pari passo con la qualità della connessione Internet – sia fissa sia mobile, soprattutto in regioni come la Calabria”.
Tornando al report, l’analisi delle modalità di aggressione informatica evidenzia che, in relazione all’episodio più grave, nel 35% dei casi l’attacco ha sfruttato la vulnerabilità del software, hardware o della rete, una quota di 12 punti percentuali sopra la media Ue (23%) che colloca l’Italia al 2° posto tra i 27 paesi dell’Ue.
Per il 26% dei casi è stata una violazione di password, quota superiore di 7 punti al 19% della media Ue che posizione l’Italia al 4° posto in Ue, per il 21% una truffa o frode e per il 20% un malware, cioè un programma/codice che altera le attività di un sistema.
Tra le conseguenze dell’attacco subito dalle imprese italiane, più diffuse sono l’ulteriore tempo impegnato per rispondere agli attacchi informatici per il 30% dei casi, i costi di riparazione o ripristino per il 25%, l’impossibilità di usare risorse o servizi e di far continuare ai propri dipendenti le attività quotidiane hanno interessato, entrambe, per il 18% delle imprese.
Se in generale le conseguenze dell’attacco di cybercriminalità non presentano una specifica accentuazione in Italia, va segnalato che la richiesta di riscatto in denaro si riscontra nell’11% dei casi di attacco cybercriminale ad imprese italiane, una quota doppia rispetto al 6% della media Ue a 27.