Aziende “sciacallate”. Presa la “banda del buco”: 15 arresti, anche nel Crotonese
Venticinque persone raggiunte da altrettante misure cautelari ed un sequestro di beni del valore che supera i 32 milioni di euro: questo l’esito di un’inchiesta della Dda di Bologna che ritiene di aver fatto luce sull’esistenza di un presunto gruppo criminale dedito alla commissione di reati fallimentari e tributari e al riciclaggio dei proventi, anche per il tramite di cittadini cinesi compiacenti.
Per quindici degli indagati sono scattate anche le manette oltre ad una serie di perquisizioni che le fiamme gialle stanno eseguendo non solo nel bolognese ma anche in altre e diverse regioni d’Italia, precisamente, nelle province di Ancona, Arezzo, Barletta, Bologna, Brescia, Foggia, Lucca, Milano, Monza e Brianza, Napoli, Parma, Pavia, Prato, Reggio Emilia, Roma, Torino, Trapani, Treviso, Udine, Venezia, Verona e in quella di Crotone, in Calabria.
Gli accertamenti - a cura del Nucleo di polizia economico-finanziaria su delega del Sostituto della Dda Roberto Ceroni - fanno ritenere dunque agli inquirenti di aver ricostruito come il gruppo, noto come la “banda del buco” e composta da bancarottieri definiti “seriali”, acquisisse continuamente società in crisi, ma dotate di apprezzabili asset, da depredare e condurre al fallimento.
Secondo le indagini l’organizzazione sarebbe subentrata alla guida, nel corso del 2020, di un gruppo societario dell’hinterland bolognese composto da una holding e altre tre società a responsabilità limitate.
Il gruppo operava nei settori della dermo-cosmesi e della Gdo (con ben 32 supermercati dislocati tra Emilia-Romagna, Veneto, Toscana, Lombardia e Friuli Venezia Giulia).
Una volta ottenuto il controllo delle aziende l’organizzazione avrebbe così effettuato delle vere e proprie operazioni di “sciacallaggio” ai danni delle stesse, procurandone dolosamente il dissesto.
Tra le principali operazioni contestate, figurano la distrazione di 25 punti vendita, trasferiti, nell’imminenza del fallimento, a new-co riconducibili alla presunta associazione pregiudicando, peraltro, la riscossione coattiva da parte dell’Erario per 3,3 milioni di euro di tributi.
LA “RIPULITURA” TRA ITALIA ED ESTERO
“La conduzione illecita della catena di supermercati - sostengono gli investigatori - ha permesso agli indagati di lucrare sulla gestione del personale, assunto e somministrato attraverso società di ‘comodo’ che hanno compensato i relativi contributi previdenziali e assistenziali, nonché le ritenute sul lavoro dipendente, con crediti d’imposta fittizi per oltre 2 milioni di euro”.
I proventi, ingenti, che sarebbero stati così accumulati illecitamente sarebbero stati poi stati reinvestiti in nuove iniziative imprenditoriali, tra cui l’acquisto di un noto prosciuttificio del parmense, o trasferiti - per la loro successiva “ripulitura” - a società italiane ed estere compiacenti sulla base di fatture false emesse ad hoc per giustificare i flussi finanziari.
Tra queste spiccano tre “cartiere”, formalmente a Milano, amministrate da soggetti di etnia cinese irreperibili che, in meno di un anno, avrebbero emesso fatture false nei confronti di centinaia di imprese italiane realmente esistenti per 7 milioni di euro, nonché ricevuto bonifici sui propri conti aziendali per 11 milioni di euro.
LA CHINESE UNDERGROUND BANK
Dagli accertamenti è emerso che i soggetti sinici sarebbero stati inseriti in un sistema di trasferimento dei fondi illeciti attraverso dei canali estranei ai tradizionali circuiti finanziari, così da aggirare anche i presìdi anti-riciclaggio: il tutto sarebbe avvenuto in pratica con meccanismi “triangolari” di compensazione informale del denaro movimentato che ricalcano l’operatività della cosiddetta “Chinese underground bank”.
Sempre gli investigatori spiegano che, in sostanza, le risorse finanziarie riconducibili a operazioni commerciali ritenute fittizie, una volta accreditate venissero immediatamente trasferite in Cina, con la contestuale retrocessione agli imprenditori italiani del contante “di dubbia provenienza” per un importo equivalente, così da monetizzare l’evasione fiscale o distrarre le risorse finanziarie dalle società.
Trait d’union tra i membri della consorteria e i citati soggetti asiatici, sono risultati essere due coniugi (l’una cinese e l’altro italiano) residenti nell’aretino e implicati anche in un florido “giro” di prostituzione di giovani connazionali della donna.
A testimonianza dell’estrema pericolosità e pervicacia criminale del sodalizio, i militari hanno ricostruito come lo stesso, nell’ultimo periodo, avesse rivolto la propria attenzione su un nuovo target, ossia una storica società ittica del tarantino dotata di un consistente patrimonio, ma sovra-indebitata e in crisi di liquidità, in procinto di essere “saccheggiata”.
L’OPERAZIONE
L’attività è stata condotta dal Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Bologna, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica del capoluogo emiliano. Il decreto di sequestro preventivo, anche “per equivalente”, è stato disposto dal Gip del Tribunale locale, Andrea Salvatore Romito.