Omicidio Barone Livio Musco, il caso finisce in tv ad “Un giorno in Pretura”
Tra i casi giudiziari raccontati da “Un Giorno in Pretura”, la nota trasmissione di Rai 3, oggi, sabato 11 novembre, andrà in onda il processo celebrato davanti la Corte di Assise di Palmi, in cui è stato imputato il barone Berdj Domenico Musco per l’omicidio dello zio Livio.
Il processo, che si è concluso con l’assoluzione definitiva di Musco, difeso dall’avvocato Antonino Napoli, ha visto il giovane erede di un’antica e nobile famiglia baronale calabrese discendente del filosofo Gaetano Filangieri, padre del generale borbonico e napoleonico Carlo Filangieri, imputato dell’omicidio dello zio, il barone Livio Musco (QUI), davanti alla Corte d’Assise di Palmi, presieduta da Francesco Petrone con a latere Anna Laura Ascioti.
Il processo ha visto anche contrapposti Elena Musco, una delle figlie della vittima, e la sorella del defunto Maria Ida Musco contro Berdj.
Il processo, che ha avuto un forte rilievo mediatico in quanto Livio Musco era il figlio secondogenito del Generale di Corpo d’Armata Ettore Musco che nella storia militare Italiana ha ricoperto un ruolo di primissimo piano tanto che, all’esito del secondo conflitto mondiale, dopo esser stato decorato della Croce di Cavaliere dell'Ordine Militare d’Italia e della Legion of merit dagli Stati Uniti d’America, venne incaricato di occuparsi della riorganizzazione dell'apparato informativo della nascente Repubblica ed in tali vesti guidò i servizi segreti militari italiani, il Sifar, dal 1952 al dicembre 1955.
Proprio ad Ettore Musco si deve l’organizzazione della rete clandestina, sotto l’egida della CIA, denominata “Stay Behind” e nota con il nome di Gladio che ha iniziato ad operare ufficialmente nel 1953 con la firma di un accordo ufficiale di collaborazione tra il Sifar e la CIA.
Le indagini sulla morte del barone Musco, coordinate dalla Procura di Palmi, presero avvio immediatamente dopo la sua morte, avvenuta la sera del 23 marzo 2013 quando il fratello Giuseppe Musco ed il nipote Berdj Domenico lo rinvennero sanguinante seduto nella poltrona dello studio della residenza dei Musco (QUI).
Fin da subito, la ricostruzione dell’omicidio del barone si dimostrò tutt’altro che agevole per gli inquirenti che orientarono nell’immediato le attività investigative in almeno tre direzioni.
Una prima ipotesi, subito scartata poiché priva di effettivi riscontri investigativi, collegava l’evento ad un movente di natura passionale che avrebbe riguardato una presunta e mai dimostrata relazione tra Musco e una delle operaie lavoratrici presso l’azienda agricola che lo stesso gestiva.
Una seconda tesi investigativa collegava l’omicidio ai forti contrasti interni alla famiglia, e maturati in relazione alla gestione dell’ingente patrimonio immobiliare ereditario di cui la stessa disponeva.
Una terza ipotesi, quella che si vedrà poi essere maggiormente accreditata dagli inquirenti, riconduceva l’assassinio alla mancata restituzione di un prestito che il barone Livio Musco aveva ottenuto da Teodoro Mazzaferro qualche anno prima.
Concluse le indagini preliminari, il Pm ha richiesto il rinvio a giudizio di tre indagati: Teodoro Mazzaferro, Ruggiero Musco e Berdj Domenico Musco questi ultimi rispettivamente fratello e nipote della vittima.
Prima della celebrazione dell’udienza preliminare Mazzaferro, sospettato di essere stato autore materiale dell’omicidio, morì per cause naturali, sicché l’unico imputato del delitto di concorso in omicidio rimaneva Berdj Domenico.
Ruggiero Musco, accusato di porto e detenzione di arma, all’udienza preliminare ha optato per il giudizio abbreviato ed è stato assolto. Berdj Domenico invece ha scelto il rito ordinario e, pertanto, è stato rinviato a giudizio davanti alla Corte di Assise di Palmi.
Sin dalla sera stessa dell’omicidio, Berdj Musco, sentito dai Carabinieri della Compagnia di Gioia Tauro, all’epoca a poche decine di metri dal palazzo della famiglia Musco, spiegò che quella sera - dopo esser tornato dal lavoro - mentre si trovava nella sua camera, al primo piano, intento a giocare al computer, non aveva sentito alcuna esplosione di colpo d’arma da fuoco ma solo un rumore che associò ad un mobile spostato o allo sbattere di finestra, uno di “quei rumori che dentro una casa vecchia come è quella lì, che noi chiamiamo palazzo con le mura spesse ottanta centimetri, capita di sentire”.
Berdj Musco fu sottoposto quella sera al prelievo stub da parte dei Ris che diede esito positivo essendo state rinvenute sullo stesso una particella univoca dello sparo, sul prelievo effettuato sulla mano e guancia destra, un’altra particella su quello effettuato sulla mano e guancia sinistra e due particelle sullo stub eseguito nelle narici e nelle orecchie e ciò inevitabilmente ha rappresentato il dato di maggiore valenza indiziaria rispetto alla contestata condotta di concorso in omicidio giacché si è ritenuto che costui sarebbe stato presente nello studio ove avvenne l’omicidio nel momento stesso dell’esplosione dei colpi d’arma da fuoco o, addirittura, che potesse esser stato lui stesso a sparare.
L’istruttoria dibattimentale del processo è stata estremamente articolata e complessa tanto che sono stati escussi oltre trenta testi: sul banco dei testimoni si sono infatti avvicendati i militari della Compagnia dei Carabinieri di Gioia Tauro che hanno svolto le indagini, i sanitari del 118 intervenuti in soccorso del barone Livio Musco, gli operatori dei RIS di Messina, il consulente tecnico del Pm Avino che si è occupato degli accertamenti sul PC dell’imputato, le parti civili, gli operai del barone Musco, i figli della vittima, il fratello Giuseppe, il nipote Federico Adolfo ed il consulente tecnico della difesa Felice Nunziata.
Lo stesso imputato si è sottoposto ad esame, confermando la ricostruzione che aveva fornito agli inquirenti in sede di indagini preliminari pienamente riscontrata dallo zio Giuseppe Musco.
Dal dibattimento sono emersi, nitidi, i profondi dissidi interni alla famiglia, maturati in particolare nelle relazioni tra fratelli e sorelle, in ordine alla gestione dell’immenso patrimonio immobiliare che costituiva oggetto di alcuni lasciti ereditari, all’epoca dei fatti, indivisi e tra essi quelli del Generale Musco Ettore.
Un patrimonio vastissimo che oltre a latifondi insistenti nell’agro del comune di Gioia Tauro consta anche di numerose ville e residenze, non ultima quella dove ha vissuto il Generale Ettore Musco: oltre 500 mq in zona Parioli a Roma.
È emerso, anche, quello che potrebbe definirsi un vero e proprio “giallo nel giallo” giacché l’arma del delitto, una pistola cal. 7,65, non è mai stata rinvenuta nonostante sia stata costantemente ricercata dagli inquirenti, finanche a Roma nella residenza del Generale Musco Ettore e nella casa dell’altro fratello della vittima, Ruggiero Musco, perseguendo l’ipotesi secondo la quale l’omicidio del barone sarebbe maturato all’interno della stessa famiglia: tesi certamente suggestiva ma mai riscontrata nemmeno sul piano indiziario.
Né è emerso un possibile movente che abbia potuto animare l’imputato nel concorrere all’omicidio dello zio non essendo stato dimostrato un interesse confliggente con quello del barone o comprovata l’esistenza di cointeressenze con l’altro imputato Teodoro Mazzaferro.
Il dibattimento, grazie anche al costante e scrupoloso lavoro della difesa rappresentata dall’avvocato Antonino Napoli, ha demolito l’intero impianto accusatorio che era stato eretto a carico di Berdj Domenico Muso evidenziandone l’assoluta infondatezza.
Già gli operatori del RIS di Messina avevano sensibilmente attenuato la portata indiziaria dell’esame stub spiegando come l’esito positivo denotato dai prelievi eseguiti sull’imputato risultava essere verosimilmente la conseguenza della contaminazione dell’imputato dovuta all’entrata in contatto dello stesso con le particelle in sospensione (“nuvola GSR”) sprigionatesi dall’esplosione di due colpi d’arma da fuoco nello studio del Livio Musco, quando insieme allo zio Giuseppe si erano prodigati nel soccorrere il barone sdraiandolo a terra secondo le indicazioni che gli erano state fornite dal centralino del 118 chiamato dallo stesso imputato.
Fenomeno, quello della sospensione delle particelle da sparo che, secondo un recente studio della BKA tedesca può durare anche oltre tre ore dopo lo sparo.
Ciò posto, il consulente della difesa, Felice Nunziata, precisava che proprio l’esiguo numero delle particelle da sparo rinvenute nelle narici e nelle orecchie dell’imputato rappresentava, invece, la prova del fatto che certamente Berdj Musco non si trovava nello studio del palazzo al momento dell’esplosione dei due colpi d’arma da fuoco che avevano attinto il barone giacché le particelle GSR generatisi all’esito del deflagrare dei colpi e che certamente avrebbe inalato l’imputato o si sarebbero depositate nelle orecchie o nelle narici dello stesso sarebbero dovute essere presenti in quantità molto più elevate rispetto al dato emergente dall’esame stub.
Avino, consulente informatico del Pm, nell’ambito del controesame svolto all’avvocato Napoli, precisava – anche - come risultava riscontrato tecnicamente il dato secondo il quale l’imputato dalle ore 18:57:55 alle ore 19:03:49, lasso temporale nell’arco del quel si colloca l’omicidio, si trovava intento a giocare al computer giacché lo stesso risultava esser stato spento manualmente non essendo stato impostato per andare autonomamente in modalità save/sleep.
All’esito della requisitoria, all’udienza del 10 febbraio del 2022, il Pm Vincenzo Lanni formulava richiesta di assoluzione, mentre all’udienza dell’8 aprile successivo le parti civili, rappresentate dagli avvocati Antonino Aloi e Federico Federico, concludevano chiedendo la condanna dell’imputato.