‘Ndrangheta. Estorsioni e minacce, così padre e figlio vessavano la Piana

Reggio Calabria Cronaca

Due persone, Domenico e Rosario Arena, padre e figlio di 69 e 44 anni, ritenuti inseriti nel contesto di ‘ndranghetistico della piana di Gioia Tauro, in particolare vicini alla nota e potente cosca Pesce, sono stati arrestati e portati in carcere, stamani, dai carabinieri del Gruppo locale. Sul primo, il padre, pesano tra l’altro due precedenti condanne già passate in giudicato per associazione mafiosa, essendo considerato intraneo al clan di rosarnese.

Ad entrambe si contestando alcune estorsioni avvenute a Rosarno e Cinquefrondi: da quanto emerso dalla investigazioni, che si sono avvalse anche delle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, i due avrebbero avuto una “elevatissima capacità criminale” - sostengono gli inquirenti - espressa in diverse occasioni con metodi tipicamente mafiosi, imponendo il loro volere “tramite una generale condizione di assoggettamento ambientale”, su persone ma anche attività commerciali che sarebbero state così piegate alle loro esigenze ed oppresse dalla loro ingerenza.

Un modo di agire che sarebbe stato affiancato da un ripetuto ricorso ad intimidazioni – sia fisiche che verbali – portando ad una “perdurante sopraffazione ed interferenza in un’attività economica” della Piana di Gioia Tauro, “e nella limitazione della libertà di autodeterminarsi di più individui”.

Le molteplici e diverse fonti di prova raccolte hanno portato gli investigatori a ricostruire quella che essi stessi definiscono come “un’immagine complessa dell’aggregato criminale”, svelandone le gerarchie e l’operatività, delimitandone la sfera di influenza illecita e gli equilibri esterni nel confronto con paritetiche o “superiori” organizzazioni ‘ndranghetiste.

LE PRESSIONI SULLA COOP

In base alle indagini, emergerebbe quindi una continua attività estorsiva ai danni di una cooperativa agricola di Candidoni, divenuta nel tempo una vera e propria fonte di reddito per i componenti l’aggregato familiare.

L’ingerenza sull’attività commerciale, oltre che con l’indebita appropriazione mensile di parte degli utili - sostengono ancora gli investigatori - si sostanziava nell’esercizio di un controllo diretto de facto, che spaziava dal deciderne le assunzioni e la politica aziendale e gestionale, arrivando financo a regolare contrasti tra i dipendenti”.

Un presunto impossessamento illecito che nella sostanza avrebbe privato i reali rappresentanti della coop della libertà di autodeterminarsi quanto all’esercizio dell’attività; una situazione che sarebbe durata per circa diciotto anni,a testimonianza di come, l’assoggettamento di imprese, ottenuto mediante minacce ed imposizioni mafiose, sia tutt’ora business di primaria rilevanza per organizzazioni di tipo ‘ndranghetistico”, aggiungono i militari.

LA MINACCE AL MEDICO

Le investigazioni, poi, fanno ritenere di aver fatto luce su diverse minacce subite da un medico, da parte di più soggetti riconducibili al contesto familiare.

Comportamenti che avrebbero avuto lo scopo di ottenere un certificato che attestasse l’impellente necessità di effettuare un intervento chirurgico ed il successivo trattamento di riabilitazione neuro-motoria da parte di uno dei componenti della famiglia, in quel momento in carcere.

Il professionista, raggiunto anche tramite l’intercessione di un compagno di cella del detenuto e della rispettiva consorte, sarebbe sollecitato più volte, sia telefonicamente che di presenza, affinché realizzasse in tempi brevi e con modalità definite precisamente dal congiunto, l’attestazione funzionale per eludere la restrizione ed ottenere una misura alternativa alla detenzione in carcere.

LA SOTTOMISSIONE DELL’EX

Appurata infine, una reiterata compromissione della libertà di autodeterminarsi dell’ex moglie di uno degli indagati, compressa nella propria sfera privata e costretta, lungo tutto il corso della sua relazione coniugale - già originariamente indotta dalla famiglia del marito -, e successivamente al termine della stessa, a subire pressioni ed angherie finalizzate, tra l’altro, ad indurla sia a riavvicinarsi al contesto familiare dal quale si era discostata con la separazione sia a commettere reati per favorire i traffici illeciti degli arrestati.

LE INDAGINI

Le indagini da cui scaturiscono i provvedimenti restrittivi di oggi sono stati emessi dal Gip del Tribunale di Reggio Calabria, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, diretta a Giovanni Bombardieri. I reati contestati sono l’estorsione e la violenza privata, aggravati dalle finalità mafiose.

Le misure sono state eseguite all’alba dai Carabinieri del Gruppo di Gioia Tauro, con il supporto operativo di personale dello Squadrone Eliportato Cacciatori di Calabria e di unità cinofile.