Sanità, il grido d’allarme dell’Opi: “sistema sotto pressione, più spazio agli infermieri”
È stato un anno molto proficuo per l’Opi di Cosenza. Un anno che ha determinato una crescita esponenziale sotto ogni aspetto e che vede gli infermieri continuamente in prima linea nel fornire risposte appropriate ad un'utenza sempre più in difficoltà e sempre più affamata di risultati accettabili.
“Il sistema regionale è da anni sotto pressione e gli operatori che ci lavorano sono spremuti ed oramai saturi del continuo scivolamento verso il basso del sistema”, sottolinea difatti Fausto Sposato, presidente dell’Ordine delle professioni infermieristiche della provincia bruzia.
È un modello che, per tutti gli iscritti, “non riesce più ad essere efficace ed a dare risposte adeguate e concrete all’esigenza di un utenza che diventa sempre più esigente per i bisogni che cambiano con una certa dinamicità”.
Ma è anche un modello che “va rivisto e che va inserito in un contesto più ampio e condiviso di sanità globale, dove gli infermieri giocano un ruolo fondamentale per raggiungere gli obiettivi previsti dai vari decreti e dal Pnrr”. “La casa ed il territorio come primi luoghi di cura” non più l’ospedale, quindi, che “deve essere destinato solo alle acuzie”.
Sono molti i tavoli di confronto e di discussione che si sono aperti a livello nazionale al fine di dare una svolta alla professione infermieristica e, di conseguenza, alla sanità rivedendo i profili di competenze ed i ruoli all’interno delle varie aziende del sistema pubblico e privato.
“Ad oggi - spiega difatti Sposato - nella nostra regione non è codificata alcuna prestazione infermieristica ragion per cui moltissime attività rientrano in quelle codifiche riservate ad altre professioni. Senza codifica e riconoscimento non si potranno misurare gli aspetti economici e la ricaduta sui Lea degli interventi infermieristici, soprattutto di quelli specialistici. Ancora oggi non si comprende come mai agli infermieri venga negato l’atto della prescrizione di presidi utili all’assistenza o di farmaci comuni o di piani terapeutici nei pazienti cronici”.
Così come non si riesce a comprendere qual è il £danno” che si possa provocare nel prescrivere esami ematici utili ai piani assistenziali.
“Questo – ribadisce - non significa togliere o “sfilare” attività ad altri professionisti ma un'integrazione ed un supporto per quei casi che, così facendo, eviterebbero di doversi recare dal medico di medicina generale troppo spesso assente in alcune comunità disagiate anche alla luce della carenza di tali figure”.
L’indicazione è quindi di puntare sulla dirigenza degli infermieri, gli unici responsabili dell’assistenza, e fare in modo che l’organizzazione delle attività sia di competenza esclusiva dei professionisti formati con laurea magistrale ed altri percorsi post laurea.
“Gli infermieri formano altro personale non perché infermieri - aggiunge il numero uno dell’Opi - ma in quanto professionisti competenti. Rivedere il rapporto infermiere/paziente e riportarlo agli standard europei con l’immissione di nuove professionisti e di nuove figure professionali dedicate all’assistenza e gestiti dagli infermieri”.
“Coinvolgere le università con percorsi di formazione appropriati e con l’inserimento di più docenti e ricercatori infermieristici è un elemento da tenere in debita considerazione, gli infermieri devono essere formati da altri infermieri con un percorso di studio adeguato che ne esalti le peculiarità e la stessa formazione”.
Ed ancora: “rivedere i percorsi della magistrale puntando sulle specializzazioni o sugli indirizzi gestionali garantendo l’evoluzione di competenze e conoscenze manageriali che portano a ruoli di gestione e direzione delle strutture”.
Sono questi alcuni temi importanti affrontati ed è questa la direzione in cui si vuole andare se si vuole “davvero cambiare il paradigma della sanità regionale e nazionale”, conclude Sposato.