Locale di Volpiano: confiscati beni per 8 milioni ad imprenditori calabresi
La Direzione Investigativa Antimafia ha eseguito a Volpiano e Chivasso, nel torinese, una confisca di beni nei confronti di due fratelli, Giuseppe e Mario Vazzana, imprenditori calabresi pregiudicati e rispettivamente di 58 e 61 anni, già condannati in primo grado nell’ambito del processo scaturito dall’operazione “Platinum Dia” (QUI).
La misura è il risultato di una complessa attività di analisi del materiale acquisito dalla Dia piemontese nel corso proprio di quest’ultima inchiesta e che ha portato a documentare e ricostruire un imponente patrimonio accumulato dai due imprenditori, ritenuti affiliati alla locale ndranghetista di Volpiano, e considerato riconducibile all’impiego di capitali provenienti dalle attività illecite della struttura criminale.
La confisca - che ha colpito non solo i due fratelli ma anche i loro familiari stretti e dei presunti prestanome - ha interessato in particolare otto compendi aziendali, delle quote societarie di un'impresa di ristorazione, quattordici immobili, sei auto e diciannove rapporti finanziari, per un valore complessivo di circa 8 milioni di euro.
Entrambi i fratelli sono stati anche sottoposti alla Sorveglianza Speciale di Pubblica Sicurezza, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza col divieto di allontanarsi senza autorizzazione del giudice, per la durata di 5 anni.
Il provvedimento è stato emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale dio Torino, su proposta avanzata dalla Dia e dalla Procura della Repubblica del capoluogo piemontese.
L’inchiesta Platinum Dia, che risale al maggio del 2021, portò allora all’arresto di 33 persone tra Italia e Germania (QUI) e ad indagarne altre 65: a vario titolo si contestarono l’associazione mafiosa, quella finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti, il riciclaggio, l’intestazione fittizia di beni, l’estorsione e altro ancora. Il tutto aggravato dalle modalità mafiose.
L’operazione prese origine dalle dichiarazioni rilasciate da un collaboratore di giustizia discendente di due delle famiglie più influenti della ‘ndrangheta aspromontana, gli Agresta/Marando, egemoni anche in Piemonte e Lombardia.