Dottorato di ricerca: da opportunità a grande fallimento di questo Paese
La riforma del preruolo nelle Università mirava a combattere il precariato e favorire il ricambio generazionale e l'inserimento di nuove figure professionali. Tra le novità principali ci sono il Ricercatore Tenure Track (RTT), con l'abolizione dei Ricercatori a tempo determinato di tipo A e B (RTD-A e RTD-B), e l'introduzione del contratto di ricerca al posto degli assegni di ricerca, offrendo così un vero contratto con ferie, malattia e diritti pensionistici.
Tuttavia, il governo non ha considerato che la difficoltà nell'aprire nuove posizioni è legata alla dotazione dei punti organico di ogni Ateneo, quindi il problema rimane.
Sul contratto di ricerca, la riforma sembra aver fallito sia nel metodo sia nel merito: il contratto, che avrebbe dovuto sostituire gli assegni di ricerca aboliti, è ancora in discussione in un governo “timido e irresponsabile”.
Secondo il movimento di dottori e dottorandi di ricerca, questo avviene in un contesto sfavorevole per i ricercatori: il PNRR, che doveva creare ricchezza, ha generato ulteriore precariato. Ci ritroveremo con un alto livello di formazione ma senza un’offerta adeguata per accogliere tutto questo capitale umano.
Così come appare inaccettabile che il titolo di Dottore di Ricerca venga svalutato nelle Pubbliche Amministrazioni. Funzionari altamente qualificati sono bloccati nell'avanzamento di carriera, mentre altri senza grandi titoli di studio progrediscono per logiche anagrafiche.
Ad esempio, il Ministero dell'Interno ha indetto selezioni per progressioni economiche con criteri che penalizzano chi ha conseguito un dottorato, assegnando solo 1,5 punti per un titolo che richiede almeno 3 anni di impegno e ricerca.
“Inoltre, riguardo alle professioni tech, viviamo in un livello di complessità mai visto prima. Le aziende italiane - afferma Valerio Arcobelli, dottorando di ricerca all’Università di Bologna in Scienze e Tecnologie della Salute - faticano a trovare le competenze necessarie per mantenere ruoli competitivi a livello europeo e internazionale. Tuttavia, il governo non propone linee guida e strumenti utili per far incrociare domanda e offerta. Il governo dovrebbe coordinare le esigenze del Ministero dello Sviluppo Economico e tradurle in linee guida per il Ministero dell'Università e della Ricerca. Il futuro accademico non è garantito per tutti, specialmente dopo il boost economico del PNRR alle casse degli atenei italiani. È necessario progettare soluzioni innovative che integrino le necessità dell'industria e garantiscano un futuro sostenibile.”
“Sulla riforma del preruolo - commenta invece Stefano Zoccali, Dottore di ricerca all’Università ‘Magna Graecia” di Catanzaro in Diritto Penale” - la riforma del preruolo al vaglio del MUR in queste settimane sembra quasi porre di fronte a questo bivio i giovani Dottori di Ricerca Italiani, che dalla base di una piramide si ritrovano in tanti a dovere lottare, in pieno stile “Hunger Games”, per raggiungere la vetta”.
“Invece - conclude Lidia Vescio, Dottoranda presso l’Università Magna Graecia” di Catanzaro in Diritto Privato - L'Unione Europea ci esorta a investire in ricerca, riconoscendo l'importanza cruciale di questo settore per il progresso e l'innovazione. Tuttavia, il governo italiano agisce in direzione opposta, minando il valore del titolo di dottore di ricerca. È difficile immaginare che i giovani laureati possano essere motivati ad intraprendere una carriera nel mondo della ricerca quando il loro titolo viene così drasticamente sminuito”