Cosenza. Al Rendano la Turandot con la voce di Maria Tomassi e il Calaf di Gianluca Terranova
Ultimo titolo per la conclusione della 59° stagione lirica del teatro “Alfonso Rendano” di Cosenza che quest'anno ha avuto come leitmotive “la favola in musica” e principiata con La Cenerentola di Gioachino Rossini.
Il direttore artistico della stagione, Luigi Stillo, per celebrare il centenario della morte di Giacomo Puccini, ha scelto, infatti, di mettere in scena il titolo incompiuto del genio lucchese, “Turandot”, la cui prima è in programma giovedì 19 dicembre, alle ore 20,30, con replica sabato 21 dicembre, sempre alle ore 20,30. L'anteprima per le scuole è, invece, in programma il mercoledì 18 dicembre, alle ore 10,00, mentre alle 18,00 dello stesso giorno è prevista una presentazione musicologica dell'opera.
Turandot è una coproduzione del massimo di Cosenza dell’Associazione Euritmus di Rovereto unitamente all'Ente Luglio musicale trapanese.
“La versione che sarà rappresentata al Rendano – ha dichiarato il Maestro Luigi Stillo –prevede il finale composto da Franco Alfano”.
La regia sarà del veronese Marco Vinco che, dopo essere stato direttore del Teatro Salieri di Legnago e della Fondazione Antonio Salieri, proprio nei giorni scorsi, mentre guidava le prove dell'opera al “Rendano” è stato nominato direttore artistico dello “Sferisterio” di Macerata.
Vinco ha immaginato la sua versione di “Turandot” come percorsa da spiriti che aleggiano attorno ai personaggi principali. Altro elemento scenico, ma anche drammaturgico, sono le maschere che devono svelare gli enigmi. Il regista ha pensato, infatti, a figure che volteggeranno nell'aere e che raffigurano anche le anime dei pretendenti che non hanno superato la prova, decapitati, che si muovono intorno alla storia, figure animate da ballerini della Compagnia “Create Danza”, con le coreografie di Filippo Stabile, ma anche da mimi e figuranti, mentre le scene e i costumi sono di Danilo Coppola, che cavalca una sorta di indeterminatezza, escludendo volutamente i toni forti e accesi, anche per riflettere lo stato d'animo della protagonista protesa verso la sua trasformazione, dalla perfidia iniziale all'umanizzazione di una donna che è capace di amare.
Un’opera chic, Turandot, costellata di inquietudini linguistiche e psicanalitiche, ma alfine legata anima e corpo, nella sua audace crosta impressionista, a un autentico retour à l’antique, che dopo la quasi completa disgregazione della struttura operistica compiutasi tra Bohème e La fanciulla del West, sembra voler gradualmente ricomporre quel frammentarismo della prima maturità entro una specie di calco formale freddo e insieme dovizioso, dove le allusioni a Ravel e a Stravinskij, per quanto appariscenti e dotte, sono esclusivamente allusioni ormai, e non premonizioni come ai tempi di Bohème e Butterfly.
La parte strumentale, che sarà interpretata dall’Orchestra Sinfonica Brutia è elaboratissima. Puccini si serve praticamente di due orchestre. Una, infatti è collocata in scena e include trombe, tromboni, percussioni e un organo e preparata da Francesco Di Rende.
Per il resto l’organico, che sarà guidato per l’occasione da Andrea Sanguineti, direttore musicale dell'Aalto Theater di Essen in Germania e della Filarmonica della stessa città tedesca, è completo in ogni rango, per schizzare l’atmosfera di Turandot, attraverso effetti coloristici violenti e preziosi al tempo stesso, sei trombe, quattro tromboni, di cui uno basso, tamburo di legno, gong grave e nella lunghissima lista anche due saxofoni alti, che legheranno il loro timbro misterioso e dolcissimo al coro delle voci bianche, doppiandoli dal dietro le quinte nel primo e nel secondo atto, allorché entrano in scena, nascosti, nel momento che precede l’entrata della principessa.
Dal palco intoneranno, infine, la melodia con cui l’imperatore si congeda. E ancora percussioni e idiofoni sono inseriti in un tessuto ritmico dominato da figure ostinate, fra essi gong cinesi, xilofono glockenspiel, campane tubolari e triangolo, mentre gran cassa, tamburo di legno e tam-tam animano i passaggi più barbarici.
Otto i temi “cinesi” dislocati nella partitura ma sviluppati con un particolare procedimento “esotico” catene di bicordi e accordi paralleli, ma anche riproduzioni di procedimenti polifonici praticati in Oriente come l’eterofonia, ossia l’esecuzione simultanea di diverse varianti di una stessa linea melodica, caratteristiche di uno spettacolo in cui le ragioni dell’occhio, ad un orecchio attento, risultano sottomesse alla struttura musicale. S’aggiunga a questo una parte corale di singolare ampiezza, duttilità e varietà.
Il coro, preparato da Francesco Costa, unitamente a quello delle Voci Bianche diretto da Maria Carmela Ranieri, rispecchia la facilità con la quale le masse popolari possono mutare atteggiamento ed essere suggestionate. Tuttavia, proprio da questa plebaglia assatanata scaturisce una delle più attraenti pagine dell’opera, il sommesso “Perché tarda la luna”.
Quanto a Turandot, affidata alla voce di Maria Tomassi, è protagonista più per la trama che per lo spazio che occupa nello svolgimento dell’opera. Assente nel I atto domina, tuttavia gli altri due: la sua grande aria “In questa reggia” è più impressionante per la caratterizzazione drammatica che per l’invenzione melodica. Fondamentale è, nella Turandot, la contrapposizione della schiava Liù, che avrà la voce di Yasko Sato, alla gelida principessa. In termini vocali Turandot è un soprano “drammatico”, Liù un soprano “lirico”, ma il vero divario non è questo.
Liù è una delle figure femminili predilette da Puccini, l’ultima autentica eroina del teatro musicale italiano. E’ sua “Tu che di gel sei cinta” un tipico lamento pucciniano, reso ancor più squisito dal colore esotico. Calaf, i cui panni vestirà Gianluca Terranova, è, con Rodolfo, Des Grieux e Cavaradossi, il più importante tenore di Puccini.
Calaf ha qualche tratto del tenore “drammatico”, ma in sostanza è un tenore “lirico”: deve poter affrontare, con una voce ben timbrata ed estesa, qualche momento a suo modo epicheggiante, ma anche conferire tenerezza a un’aria come “Non piangere Liù” e spiegare il famigerato “Vincerò” di “Nessun dorma”.
La funzione dei tre ministri o tre “maschere” Ping (Luca Bruno), Pong (Marco Miglietta) e Pang (Saverio Pugliese), è fondamentalmente quella di rammentarci che, malgrado tutto, la Turandot è solo una meravigliosa fiaba. Completeranno il cast Alberto Comes (Timur), Alberto Munafò Siragusa (Mandarino), Pietro di Paola l’imperatore Altoum e il principe di Persia Fan Jiacheng.