Il traffico di droga in mano a calabresi e albanesi: blitz in Emilia, quindici arresti

Crotone Cronaca

Vi sarebbero soggetti calabresi, con rapporti anche di natura familiare con esponenti della cosca dindrangheta dei Grande Aracri - originaria di Cutro, nel crotonese, ma da anni radicata nel territorio emiliano - dietro la presunta organizzazione criminale sgominata stamani dalla Dda di Bologna, che fatto luce su un traffico internazionale di droga e portato all’arresto di una quindicina di persone (QUI), dodici delle quali finite tra le sbarre e tre ai domiciliari, mentre altre sedici sono state interessate da perquisizioni e sequestri.

Come accennavamo, l’indagine avrebbe acceso i riflettori su un gruppo italo/albanese con base nella provincia di Reggio Emilia e che dal 2020 avrebbe ha importato e acquistato dall’Albania, dal Kosovo, dal’Ecuador, dalla Colombia e dai Paesi Bassi decine e decine di chili di droga tra cocaina, eroina, hashish e marijuana, per un controvalore stimato in circa 8 milioni di euro.

Lo stupefacente sarebbe stato anche detenuto e venduto in tutta Italia, con, anche, alcune distribuzioni avvenute dalla provincia di Reggio Emilia verso la Calabria.

Durante investigazioni si sarebbe riscontrato come il gruppo fosse quindi composto da albanesi, da appartenenti alla criminalità organizzata calabrese ma anche da soggetti contigui alla criminalità laziale.

Sempre nel corso delle indagini sono stati già arrestati in flagranza cinque soggetti accusato di traffico di stupefacenti, di cui quattro colpiti nuovamente dall’ordinanza di oggi. Gli inquirenti avrebbero poi scoperto l’introduzione in Italia, dalla Spagna, di circa 75 mila euro falsi, composti da banconote da 500 euro.

LE COMUNICAZIONI CRIPTATE

La ricostruzione del traffico internazionale di droga è stata possibile sia tramite intercettazioni telefoniche ed ambientali ma anche all’acquisizione, dopo, di numerose conversazioni telematiche che i narcotrafficanti si scambiavano con smartphone criptati, usando l’applicazione Sky-ECC.

Questi dati sono stati acquisiti a seguito di un cosiddetto Oie, ovvero un Ordine di Indagine Europeo, grazie da una complessa attività di polizia giudiziaria condotta dalla Polizia francese, olandese e belga sulla piattaforma Skyecc, dove è stato possibile attingere a milioni di messaggi di interesse investigativo, scambiati tra i membri di organizzazioni criminali e operanti in diversi paesi dell'Unione Europea.

LE AREE DI INTERESSE

Gli inquirenti spiegano poi che l’organizzazione si sarebbe dimostrata in grado di operare sul territorio nazionale in diversi contesti geografici, distinti ma tra loro inscindibilmente interfunzionali.

In particolare, in quello emiliano si sarebbe trovata la sede direzionale ed operativa di Bibbiano (dove tra l’altro dimorava la maggior parte dei presunti associati); inoltre, nello stesso territorio, esattamente a Sassuolo e Polinago vi sarebbero state altre basi logistiche.

La Calabria, invece, sarebbe stata usata in connessione con gruppi criminali locali sia per approvvigionarsi di partite di cocaina che per distribuire eroina, hashish e marijuana.

Nell’area romana, poi, sarebbero entrati in affari di soggetti ritenuti ben inseriti nei circuiti criminali della Capitale. In fine, la provincia veneziana sarebbe stata usata sia come terminale per la distribuzione dello stupefacente che per l'estemporanea acquisizione di forniture di narcotico a fronte di esigenze contingenti, in relazione alle quali si sarebbe attinto dal torinese.

UNA VERA E PROPRIA IMPRESA

L’associazione - con elevate capacità di penetrazione nelle piazze di spaccio non solo emiliane, potendo contare, infatti, su una rete distributiva ramificata sull'intero territorio nazionale e su canali di approvvigionamento europei e sudamericani - sarebbe stata gestita come una vera e propria attività di impresa, con modalità assolutamente manageriali caratterizzate da una continua progettualità, un agile adattamento alle situazioni contingenti e alla ricerca del massimo profitto.

L'elevato numero degli acquisti di droga e delle stesse cessioni, per gli investigatori confermerebbero l’elevata pericolosità sociale dei presunti appartenenti al gruppo, cosa che sarebbe stata confermata anche dalla presenza dei calabresi in rapporti con la ‘ndrangheta.

LE SOCIETÀ CARTIERE

Nel corso dell’operazione sono state denunciate alla Procura di Reggio Emilia, dieci persone radicate stabilmente nel reggiano, ed originarie della Calabria e dell’Albania.

Secondo la Dda, attraverso sette società - di cui sei operanti nella provincia di Reggio Emilia, una in quella di Parma e tre risultate vere e proprie cartiere) - avrebbero emesso fatture per operazioni inesistenti per quasi 5,3 milioni di euro, conseguendo un profitto illecito stimato in oltre mezzo milione di euro.

Tali aziende operano - ma in alcuni casi operavano, dal momento che hanno cessato la loro attività - prevalentemente nel settore edile.

L’OPERAZIONE

Il blitz è scattato nel cuore della notte quando oltre un centinaio di uomini tra militari della Guardia di Finanza e agenti della Polizia di Stato, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bologna e sotto la direzione del Sostituto Procuratore Roberto Ceroni, hanno eseguito l’Ordinanza di Applicazione di Misura Cautelare Personale nei confronti degli indagati.