Per inquirenti è un prestanome dei Grande Aracri, confiscati beni a imprenditore
Beni e partecipazioni in nove società, oltre a disponibilità finanziarie, per più di 300 mila euro sono stati confiscati in Emilia Romagna ad un imprenditore di origine calabrese ritenuto vicino alla potente cosca di ‘ndrangheta dei Grande Aracri, originaria di Cutro, nel crotonese. Contestualmente l’uomo è stato sottoposto per cinque anni alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza.
Ad eseguire il provvedimento - emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del tribunale di Bologna - sono stati gli uomini dello Scico della Guardia di Finanza, con la collaborazione dei colleghi di Nuclei Pef di Reggio Emilia e Mantova.
I beni interessati erano stati già sequestrati nel dicembre dello scorso anno (QUI). Le indagini, finalizzate all’applicazione della misura di prevenzione personale e patrimoniale erano scaturite a dopo una interdittiva antimafia emessa dalla Prefettura di Reggio Emilia nei confronti di una serie di società edili ritenute riconducibili allo stesso imprenditore ed inserite, inizialmente, nel circuito delle imprese incaricate della ricostruzione dopo il terremoto che nel 2012 aveva colpito le province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova e Reggio Emilia.
Alla luce del provvedimento interdittivo, la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo ha delegato allo Scico una serie di approfondimenti, anche sotto il profilo patrimoniale, al cui termine e secondo gli inquirenti emergerebbe innanzitutto una “evidente sproporzione patrimoniale rispetto alla sua capacità reddituale lecita”.
Sempre in base alla ricostruzione investigativa vi sarebbero poi degli “elementi significativi sulla pericolosità sociale dell’imprenditore in relazione - sostengono i militari - all'asservimento delle sue attività economiche, con l’emissione di false fatturazioni e con l’assunzione della qualità di prestanome, agli interessi della cosca di ‘ndrangheta Grande Aracri”, clan che come è noto opera nella provincia pitagorica ma che conta su importanti ramificazioni anche in Emilia.
Una presenza, quest’ultima, venuta alla luce, tra le altre, dall’operazione Aemilia (QUI) con cui, nel 2015, furono arrestate 160 persone (QUI) tra Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte, Veneto, Calabria e Sicilia, per i reati, tra gli altri, di associazione mafiosa, estorsione ed intestazione fittizia di beni e il cui iter giudiziario ha già avuto da parte della Corte di Cassazione conferma della sentenza di condanna per oltre 70 posizioni (QUI).