Dna: imprenditore edile vicino ai Grande Aracri, scattano i sigilli a beni e partecipazioni in società
Un imprenditore di origini calabresi, operante in Emilia Romagna, e ritenuto vicino alla cosca di ‘ndrangheta dei Grande Aracri di Cutro, nel crotonese, è il destinatario di un sequestro preventivo eseguito stamani, su delega della Direzione Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo, dallo Scico delle fiamme Gialle con la collaborazione dei colleghi del Gico di Bologna e dei Nuclei PEF di Reggio Emilia, Parma, Mantova, Crotone e La Spezia.
Le indagini a carico dell’uomo - che hanno portato oggi ad apporre i sigilli a beni e partecipazioni di nove società per un ammontare di oltre 300 mila euro - sono scaturite da un’interdittiva antimafia emanata dalla Prefettura di Reggio Emilia, nei confronti di una serie di società del settore edile riconducibili allo stesso imprenditore ed inserite, inizialmente, nel circuito delle aziende preposte all’opera di ricostruzione avviata successivamente al terremoto del 2012 che ha interessato le province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova e Reggio Emilia.
Alla luce del provvedimento interdittivo, la Dna ha delegato ai finanzieri una serie di approfondimenti, anche sotto il profilo patrimoniale, e dai quali sarebbe emersa, secondo gli investigatori, al una sproporzione patrimoniale rispetto alla capacità reddituale lecita dell’uomo.
Inoltre, si ritiene che siano emersi anche degli elementi significativi su una pericolosità sociale dell’imprenditore, per un presunto asservimento delle sue attività economiche - con l’emissione anche di fatture false e l’assunzione di prestanome - agli interessi dei Grande-Aracri.
La cosca opera sì nella provincia di Crotone ma conta importanti ramificazioni anche in Emilia, così come testimoniato, tra le altre, dalla nota operazione Aemilia (QUI) con cui, nel 2015, furono arrestate ben 160 persone tra Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte, Veneto, Calabria e Sicilia, accusate, tra gli altri reati, di associazione mafiosa, estorsione ed intestazione fittizia. L’iter giudiziario dell’imponente inchiesta ha già avuto da parte della Corte di Cassazione conferma della sentenza di condanna per oltre 70 posizioni (QUI).