Traffico di droga: a Roma la ‘ndrangheta parla anche albanese, 28 arresti

Calabria Cronaca

Su disposizione della Dda di Roma, nella giornata di ogg, il Ros ha eseguito nelle aree della Capitale ma anche di Reggio Calabria, Catanzaro e Cosenza di L’Aquila, Latina e Pistoia, una misura cautelare in carcere nei confronti di ventotto persone tra italiani ed albanesi.

Sono tutti sospettati di aver preso parte ad un’associazione criminale di matrice ‘ndranghetista, con base a Roma ma che operava in tutta Italia soprattutto nel traffico di droga.

Il provvedimento si basa sugli elementi acquisiti sulla figura di un 57 enne calabrese, già condannato in via definitiva perché considerato a capo della locale di Volpiano, promanazione di quella di Platì, nel reggino,

La gestione familiare

L’uomo - trasferitosi nella Capitale agli inizi degli anni 2000 - si ritiene abbia assunto il controllo dell’area di San Basilio, promuovendo la nascita di un’associazione composta, tra gli altri, anche dai tre figli, con legami stabili ad una paritetica struttura criminale albanese, utilizzata per gli aspetti logistici come l’estrazione dei carichi di stupefacente dai porti spagnoli e olandesi, nonché per il successivo trasporto e per lo smercio in altre zone di Roma.

La droga sarebbe arrivata dal Sud America, tramite container, in alcuni porti della Spagna, a Rotterdam e in quello di Gioia Tauro, anche sfruttando l’interazione con altri broker calabresi, per poi giungere sul mercato romano per essere spacciata al dettaglio.

Lo spacciatore torturato

Nel complesso, sono stati contestati ottanta capi di imputazione per operazioni di traffico da oltre una tonnellata di cocaina e da quasi una e mezza di hashish, oltre ad un episodio di tortura aggravata dal metodo mafioso contestata a quattro indagati italiani, accusati di avere privato della libertà personale uno spacciatore, procurandogli sofferenze fisiche e un trauma psichico.

Le violenze inferte, sono state riprese con un telefonino, per diffonderne successivamente il video così da generare nella vittima e negli altri puscher di San Basilio paura, omertà e assoggettamento al volere del gruppo criminale.

Le comunicazioni criptate

Sarebbe poi emerso l’uso sistematico da parte degli indagati di sofisticati sistemi criptofonici, utilizzati per le comunicazioni operative e per eludere le attività di controllo.

Dispositivi che sarebbero stati ottenuti attraverso una vera e propria centrale di smistamento, individuata sempre a Roma e facente capo ad un 46enne albanese, anch’esso coinvolto nell'indagine.

L’alleanza strutturale

L’operazione, chiamata in codice Anemone, grazie all’estesa cooperazione internazionale avviata - ha consentito di localizzare in Spagna cinque latitanti e avrebbe anche dimostrato l’infiltrazione del gruppo sul territorio romano.

Inoltre si sarebbe confermata l’alleanza, ormai strutturale, tra la ‘ndrangheta e le organizzazioni albanesi che, forti della loro ramificazione in molti paesi europei e non solo, garantiscono canali alternativi di approvvigionamento e, soprattutto, la possibilità di utilizzare porti stranieri, dove esercitano il loro controllo, per diversificare le narco-rotte.

Non per ultimo si sarebbe dimostrata la centralità del Porto di Gioia Tauro per le importazioni di cocaina; l’esistenza di accordi e regole che consentono a organizzazioni di diversa matrice di spartirsi le più redditizie aree di smercio del narcotico nella Capitale, e l’utilizzo sistemico di strumenti tecnologici evoluti e non direttamente intercettabili, per le comunicazioni operative.