Il presidente Zurlo sulle Foibe
Il 10 febbraio ricorre l’anniversario della firma del Trattato di Pace di Parigi che, nel 1947, fissò i confini tra Italia e Jugoslavia. Nel 2004, con legge dello Stato, questa data è stata scelta come “Giornata del ricordo dei martiri delle foibe”. Giornata dedicata agli avvenimenti che si consumarono tra il 1943 ed il 1947 lungo i confini orientali. Secondo alcune stime 20-25 mila italiani furono uccisi dopo aver subito strazianti torture e violenze di vario genere.
Tantissimi di loro vennero gettati nelle foibe, le voragini rocciose presenti nella regione carsica, altri nelle cave di bauxite, in fondo al mare, in fosse comuni, altri ancora morirono nei campi di concentramento jugoslavi. Come sia stato possibile dover aspettare, oltre mezzo secolo, per conoscere l’odio, l’atrocità, la xenofobia assassina ed anti Italiana, dell’armata rossa del maresciallo Tito, subita dalle vittime delle foibe? Migliaia gli italiani uccisi ed altre centinaia di migliaia le persone costrette ad abbandonare le loro case, le loro occupazioni, la loro terra segnata dal sacrificio del lavoro di anni. Le foibe rappresentano una tragedia di dimensioni immense che ha inciso sulla geografia umana delle terre giuliano-dalmate. Per decenni, il dramma complessivo, vissuto dalle genti della Venezia-Giulia, non è stato adeguatamente rappresentato e doverosamente inserito nella memoria della società e nella storia del Paese. Per lungo tempo di questa vicenda si è parlato solo a Trieste e nelle comunità dei profughi. Da poco, invece, si è compreso che essa è un capitolo importante della nostra storia nazionale. Oggi molti studiosi stanno cercando ancora di fare chiarezza sulle ragioni di questo silenzio, si interrogano sul perché e sul come l’Italia democratica e repubblicana non si sia preoccupata per lungo tempo dei suoi “desaparecidos”.
L’argomento non era, forse, “politicamente corretto”, meglio dunque ignorarlo, i nomi non erano degni di una corona di fiori. Trascorsi più di 60 anni dalla fine della guerra e caduto il Muro di Berlino, gli assetti internazionali appaiono profondamente mutati e sono venuti meno molti condizionamenti ideologici che hanno così a lungo pesato nei giudizi sul passato recente. Parlare di “foibe” e di “esodo”, analizzare il contesto nel quale i fatti sono maturati, capire anche le ragioni del silenzio, che ha circondato questa carneficina, può essere d’aiuto per rafforzare in tutti noi il senso d’identità e di appartenenza alla propria nazione. Oggi, nessuno storico nega che sia avvenuto questo “Olocausto”. Oggi, è l’Europa che può e deve liberarci da un passato del quale siamo stati troppo a lungo prigionieri. Purché ci resti sempre di «monito» la coscienza che la tragedia degli italiani di Venezia-Giulia, Istria e Dalmazia fermentò dalla piaga dei nazionalismi, della gretta visione particolare e disprezzo dell’altro, della transazione acritica dell’identità etnica o storica. Oggi si può affermare che gli steccati sono cominciati a cadere.