Cattura Aquino: il latitante si nascondeva a casa del suocero
Non ha opposto resistenza ai carabinieri, Domenico Aquino, ultimo erede della famiglia di 'ndrangheta di Marina di Gioiosa Ionica, fondata dal vecchio boss Salvatore 'Turi' Aquino. Prima di lui, erano finiti in carcere Nel febbraio e agosto scorsi i fratelli di Rocco Aquino, già inserito nell’elenco dei latitanti pericolosi stilato dal Ministero dell’Interno, esponente apicale della “Provincia” e di vertice del “locale” di Marina di Gioiosa Jonica, e Giuseppe elemento di spicco dell’omonima cosca. L’odierno intervento, eseguito dai Carabinieri del ROS, del Comando Provinciale Carabinieri di Reggio Calabria, dello Squadrone Eliportato Cacciatori di “Calabria” e dell’8° N.E.C. di Vibo Valentia, costituisce un risultato di eccezionale rilevanza nell’ambito di un’ampia manovra investigativa sviluppata dall’Arma e coordinata dalla Procura Distrettuale di Reggio Calabria nei confronti delle cosche della ‘ndrangheta che ha determinato, a partire dal 2004, la cattura di numerosi capi clan del calibro di Giuseppe Morabito, Pasquale Condello, Gregorio E Giuseppe Bellocco, Giuseppe E Salvatore Coluccio, Antonio Pelle, Girolamo Molè, Sebastiano Pelle, Santo Gligora, Saverio Trimboli, Francesco Perre e Francesco Pesce, Aquino Rocco, Trimboli Rocco e da ultimo Giuseppe Aquino che, dalla latitanza, continuavano a dirigere i sodalizi di riferimento.
Domenico Aquino, figlio di Vincenzo e fratello di Rocco e Giuseppe, fa parte, per diritto di sangue, dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta attiva a Marina Gioiosa Jonica (RC), già gravato da pregiudizi penali per guida senza patente, violazione legge urbanistica, modificazione dello stato dei luoghi, furto aggravato, favoreggiamento personale e concorso esterno in associazione mafiosa. A conferma della sua appartenenza alla ‘ndrangheta, già nell’anno 1997, nell’ambito di una indagine finalizzata all’accertamento dell’ipotesi delittuose di cui all’art.416 bis c. p., al fine di rendere inoffensive le enormi abitazioni dei componenti della citata famiglia, rese vere e proprie fortificazioni (ovviamente abusive), la DDA di Reggio Calabria, con provvedimento nr.89/97 RGNR DDA dd. 29.07.1997, disponeva la perquisizione delle loro unità immobiliari (interessato compresso), con contestuale sequestro delle telecamere esterne, dei proiettori di luce e quant’altro ritenuto utile alle indagini.
All’interno della famiglia Aquino risultavano peraltro inseriti noti brokers internazionali del traffico di cocaina dal Sud America, come gli Scali (Antonio, Natale e Vincenzo) ed i Lucà (Francesco, Nicola e Giuseppe), alcuni dei quali al centro dell’indagine “Decollo” del ROS che nel gennaio 2004, aveva consentito l’esecuzione di complessivi 154 provvedimenti restrittivi con il sequestro di oltre 5000 kg di cocaina e la documentata importazione di altri 7800 kg. Le indagini avevano anche documentato l’evoluzione criminale della famiglia Aquino, dedita negli anni '70 soprattutto alla commissione di truffe e fallimenti fraudolenti e, in una seconda fase, pienamente attiva nel narcotraffico internazionale con collegamenti funzionali in Canada e negli U.S.A. oltre che nel riciclaggio dei relativi proventi, per lo più reinvestiti nel settore immobiliare. Infine, Domenico Aquino era stato colpito dal provvedimento di fermo per il quale era ricercato, emesso dalla Procura Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, nell’ambito dell’operazione “Il Crimine”. L’operazione, nel cui ambito le Autorità Giudiziarie di Milano e Reggio Calabria hanno raccordato e coordinato numerosi procedimenti penali collegati fornendo un quadro complessivo ed unitario degli assetti organizzativi della ‘ndrangheta, delle sue articolazioni extraregionali e dei comuni interessi illeciti, ha accertato come la matrice criminale, dopo un lento processo evolutivo, già delineato da alcuni collaboratori di giustizia nei primi anni ’90, abbia raggiunto una nuova configurazione organizzativa, in grado di coordinare le iniziative criminali delle singole articolazioni, soprattutto nei settori dell’infiltrazione negli appalti pubblici e del traffico internazionale di stupefacenti .
Le investigazioni hanno infatti tecnicamente documentato come le cosche della provincia di Reggio Calabria rimangano il centro propulsore delle iniziative dell’intera ‘ndrangheta, nonché il principale punto di riferimento di tutte le articolazioni extraregionali, nazionali ed estere. A tal fine è stato creato un organismo assolutamente inedito, denominato “Provincia”, riferimento dei responsabili di tre “mandamenti” in cui sono stati ripartiti i “locali” del capoluogo e delle aree tirrenica e ionica. Un ordine gerarchico all’interno di tale organismo che, tuttavia, garantisce ai singoli sodalizi ampi margini di autonomia, risulta assicurato dai tradizionali gradi (“sgarro”, “santa”, “vangelo”) e ruoli (capocrimine, mastro di giornata e contabile) nei diversi livelli dell’organizzazione. L’attività investigativa ha documentato come tale modello organizzativo sia stato esteso anche alle proiezioni nel nord Italia (Lombardia, Liguria e Piemonte) e all’estero (in Svizzera e Germania ), con la costituzione di “locali” e, laddove maggiore è risultata la loro concentrazione, di organismi assimilabili ai “mandamenti”, come in Lombardia e Liguria. Tali articolazioni, seppur dotate di libertà decisionale relativamente alle attività locali, rimangono comunque dipendenti dalla ‘ndrangheta della provincia di Reggio Calabria. Proprio nel corso delle indagini in parola, sono state documentate numerose riunioni tra i maggiori esponenti delle cosche del mandamento ionico, per la risoluzione di problematiche interne, tra cui quella relativa all’omicidio di Novella Carmelo. Sono così emerse ulteriori conferme circa l’operatività degli organismi denominati “provincia” e “mandamento” e la rispettiva influenza nella determinazione degli assetti dei sodalizi dipendenti, tra cui quello di Gioiosa Ionica, all’interno del quale veniva ricomposta una scissione, con la nomina a capo società di Rocco Aquino. Inoltre è stato possibile individuare gli interessi economici della cosca nella gestione, anche attraverso prestanome, di alberghi, esercizi pubblici, imprese edili ed immobili. Alcuni di essi, per un valore di 10 milioni di euro, venivano sottoposti ad un provvedimento di sequestro preventivo.