Controlli dei Carabinieri nel reggino, un arresto e un bunker sequestrato
Un arresto e un bunker sequestrato è il bilancio di un’operazione dei Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria, del ROS e dello Squadrone Cacciatori che questa mattina hanno effettuato numerose perquisizioni e rastrellamenti nelle campagne Rosarnesi, su delega della locale DDA, finalizzati a rintracciare il boss Marcello Pesce, inserito nell’elenco dei latitanti pericolosi. Nella mattinata odierna i militari hanno ammanettato Francesco Alviano – soggetto ritenuto vicino al latitante – e fratello di Giuseppe detto “Pino Rospo” (tratto in arresto nel febbraio 2012, nel corso dell’operazione c.d. “Califfo 1”) e di recente condannato in primo grado alla pena di 9 anni e mesi 4 di detenzione, per la sua intraneità alla “cosca Pesce”.
Il bunker è stato rinvenuto nelle campagne di Candidoni, situato a pochi metri da un manufatto rustico. Al rifugio sotterraneo, ritenuto nella disponibilità di Marcello Pesce, si accedeva mediante una botola mimetizzata dalla fitta vegetazione ed una scaletta metallica situata all’ingresso. Le verifiche all’ambiente interno (un monovano di circa 5/10 mq) hanno dimostrato che a causa del maltempo degli ultimi giorni si era allagato e - probabilmente - non era stato utilizzato di recente, ma poteva costituire idonea “camera di compensazione” per sfuggire ai controlli stringenti delle forze dell’ordine.. Nei pressi dell’ingresso, i Carabinieri hanno dissotterrato cavi elettrici e tubi, che confermano la destinazione illegale della costruzione sequestrata.
La famiglia Pesce rappresenta una delle più potenti cosche, con radici storiche che risalgono alla fine degli anni ’60, allorquando si imponeva la leadership di Giuseppe Pesce 90 anni, succeduto all’allora “capo bastone” Domenico Cunsolo, ucciso agli inizi degli anni ’70. Le recenti dinamiche criminali della cosca sono state poste in risalto grazie all’operazione “All Inside”, grazie alla quale è stato possibile accertare l’operatività di un sodalizio criminale qualificabile ai sensi dell’art. 416 bis, finalizzato in modo continuativo alla commissione di reati che spaziano dal traffico di sostanze stupefacenti al riciclaggio di denaro, alla truffa, estorsioni, armi, banca rotta fraudolenta ed altro ancora.
Marcello Pesce è ricercato dalla notte del 26 aprile 2010, quando si diede alla macchia assieme al cugino Francesco detto “Ciccio ‘u testuni”. La sua caratura criminale è evidenziata in modo esaustivo nel capo di imputazione contestatogli: “promotore ed organizzatore del sodalizio, per aver svolto un rilevante ruolo di intermediazione, nell’ambito dell’incontro tra i vertici delle famiglie mafiose Bellocco e Pesce, al fine di redimere la faida nata in seguito all’omicidio Sabatino, oltre a compiti decisionali ed organizzativi nell’ambito della attività di traffico di stupefacenti e di reinvestimento dei profitti accumulati dalla cosca”.
L’impegno dell’Arma dei Carabinieri ha fino ad ora permesso di assicurare alla Giustizia ben tre latitanti rosarnesi: il 09.08.2011, nelle campagne di Rosarno, è stato catturato Francesco Pesce “testuni”; il 22.07.2012, a Catanzaro Marina, Domenico Arena (cognato del boss Pesce Vincenzo); infine, il 09.08.2012, Roberto Matalone (cognato di Pesce Francesco) è stato accerchiato e tratto in arresto mentre si trovava sulla spiaggia di Joppolo.
L’importanza strategica giocata da Marcello Pesce nelle dinamiche della cosca rosarnese trova conferma anche durante la sua latitanza; infatti, Francesco Pesce “testuni”, a soli due giorni dalla sua cattura, ha scritto in carcere un “pizzino” in cui indicava una serie di soggetti che avrebbero dovuto gestire gli affari della cosca durante la sua detenzione: tra i vari nominativi, vi era anche quello di Tocco Francesco Antonio, cognato di Marcello, che veniva tratto in arresto nel febbraio 2012 nell’ambito dell’operazione “Califfo 1” (e tutt’oggi è detenuto) “per aver partecipato al sodalizio criminale, con funzioni direttamente esecutive delle direttive di Francesco Pesce 35 anni”.
Già la settimana scorsa, la DDA di Reggio Calabria aveva disposto perquisizioni domiciliari, a seguito delle quali era stato tratto in arresto il nipote del latitante e sequestrata varia documentazione finanziaria di estremo interesse investigativo.
I fratelli Alviano sono noti già dal 2004 alle Forze dell’Ordine, perché sul loro conto si sono espressi senza riserve tre collaboratori di giustizia: Cesare Dromì, Salvatore Facchinetti e Giuseppina Pesce; si tratta di dichiarazioni convergenti che li dipingono come soggetti cresciuti a casa di “don Peppino Pesce” (“il padre di Alviano è morto nella casa di Giuseppe Pesce, quando la stavano costruendo allora, ha avuto un incidente sul lavoro questo qua, e lo ha sempre accudito Peppe Pesce) - il defunto patriarca della cosca - e da sempre considerati al servizio di quella famiglia.
Su Francesco Alviano ricadono, inoltre, sospetti in merito all’omicidio di Francesco Arcuri, avvenuto a Rosarno nel novembre del 1993. Facchinetti, in particolare, ha sottolineato che i familiari di Arcuri, a seguito dell’omicidio, avevano richiesto l’autorizzazione di uccidere un Alviano, “ma non hanno ricevuto il benestare dei Pesce dato lo strettissimo rapporto esistente tra questa famiglia e gli Alviano”.