Pentone: lo sciopero della fame per i detenuti palestinesi si trasferisce
Lo sciopero della fame per i detenuti palestinesi, e in particolare per Samer Issawi, si fa itinerante e si trasferisce a Torino. Sei giorni fa Rosario Citriniti di InvictaPalestina, centro di documentazione sulla Palestina, ha avviato uno sciopero della fame sistemandosi in una tenda montata all’entrata della chiesa di Pentone, paese della presila catanzarese che ospita il centro stesso. La protesta ora proseguirà a Torino, nei pressi del Centro Studi Sereno Regis, insieme ad altre persone. Intanto, Samer Issawi, in sciopero della fame da circa 210 giorni, il 6 marzo rischia di non uscire perché gli addebitano una precedente condanna.
Nei giorni scorsi, oltre ai messaggi di solidarietà dalla Calabria, dall’Italia e da altri paesi, Rosario Citriniti ha sentito la vicinanza e le domande di alcuni pentonesi. Chi gli ha portato latte e tè, chi dei teli per ripararsi dalla pioggia, chi ha fatto asciugare guanciali e coperte. Alcuni ragazzi gli hanno chiesto spiegazioni sulle motivazioni della sua iniziativa - « non un gesto clamoroso, ma un’azione che scuota sì» per i diritti dei prigionieri palestinesi e la scarcerazione di chi è in carcere senza accuse né processi. Un’intera classe della scuola elementare di Pentone è andata a trovarlo: i bambini hanno fatto domande e preso appunti. Faranno un elaborato e lo invieranno ad InvictaPalestina, il lavoro più completo sarà premiato. Il centro, inoltre, ha donato alla maestra dei libri sulla questione palestinese.
Un paio di giorni fa, il parroco Don Gaetano Rocca, vista la pioggia abbondante, ha permesso a Rosario Citriniti di dormire in sacrestia. La Via Crucis di ieri, inoltre, ha toccato uno dei calvari dei nostri giorni: quello dei palestinesi. «Le Vie Crucis che celebriamo - ha detto il parroco - sono scritte, ancora oggi, con il sangue di migliaia di oppressi che lottano per la loro liberazione. Tra questi ci sono i palestinesi che sono ogni giorno costretti in interminabili checkpoint, in uno stato di umiliazione continua e terribile». Rosario Citriniti ha raccontato di Samer Issawi e per la decima stazione ha letto un brano di Don Nandino Capovilla: «Sette famiglie su 10 piangono i loro parenti senza sapere dove sono, ignorando le torture che subiscono, le volte in cui verrà rinnovata "la detenzione amministrativa", quella forma di arresto senza accusa su cui nemmeno gli avvocati potranno indagare».
La lettera scritta a Samer Issawi - Rosario Citriniti ha scritto una lettera a Samer Issawi, il prigioniero palestinese scambiato con il caporale israeliano Shalit nell’ottobre 2011. Per protesta, da circa 210 giorni è in sciopero della fame: rischia di morire.
«Caro fratello, Caro Sami - comincia la lettera - l’eco della tua lotta è arrivata in Calabria (ITALIA). In un piccolo paese di questa regione abbiamo montato una tenda della speranza nella quale da quattro giorni anch’io faccio lo sciopero della fame in solidarietà con la tua lotta che poi è quella di tanti fratelli e sorelle palestinesi che ogni giorno s’impegnano per la fine dell’occupazione sionista».
La missiva prosegue con una proposta: «caro Sami, ti propongo di scegliere la vita al martirio, scegliendo di comune accordo di sospendere il nostro sciopero per camminare insieme nella lotta di liberazione del popolo palestinese, t’invito a sospendere insieme, io in Italia tu nelle carceri israeliane, lo sciopero in corso e sostituirlo con la lotta collettiva, quotidiana, che un giorno, insieme a tutti le persone che resistono e solidarizzano col tuo popolo, porterà sicuramente alla liberazione della tua terra».
Le condizioni dei detenuti palestinesi - 4520 detenuti nelle carceri israeliane di cui 10 donne, 164 bambini (16 hanno meno di 21 anni) e 8 parlamentari palestinesi. Dal 67 ad oggi più di 800mila palestinesi sono stati arrestati: il 20 % della popolazione palestinese - il 40% della sola popolazione maschile - è stato in carcere. Ogni anno 700 bambini vengono arrestati. Sono i dati, aggiornati a novembre 2012, presentati da Grazia Careccia, capo dipartimento di Ricerca Legale e Advocacy internazionale Al-Haq-Ramallah, a Padova alla giornata ONU per i diritti del popolo palestinese. Restituiscono il dominio di Israele nei territori occupati della Palestina e l’oppressione subita dai palestinesi.
Arrestati nel cuore della notte, sottoposti a umiliazioni e misure degradanti, tenuti in custodia (quindi «senza che si sappia perché una persona sia in carcere») fino a un anno, i palestinesi vivono assoggettati dal regime militare di Israele e sono sottoposti alle regole di Israele. Che sono, però, diverse per i palestinesi e per gli israeliani. Ad esempio, se un processo per un israeliano dura 9 mesi, per un palestinese si protrae per 18 mesi. Se i palestinesi sono trattenuti senza accuse per interrogatori fino a 90 giorni, gli israeliani lo sono per 64 giorni.
Grazia Careccia, lo scorso dicembre, si è soffermata sulla pratica dell’internamento o - come viene chiamata dagli israeliani - “detenzione amministrativa”: «è un caso di privazione della libertà degli individui molto particolare perché avviene in mancanza di accuse e di un vero e proprio processo - ha spiegato - la potenza occupante dice: c’è un pericolo di sicurezza, però questa persona non ha commesso nessun reato, tuttavia l’unico modo che ho per proteggere la mia sicurezza è internare questa persona». Secondo il diritto internazionale, l’internamento è un provvedimento di carattere eccezionale e deve essere limitato nel tempo. Ma Grazia Careccia precisa che Israele ricorre costantemente all’internamento e lo reitera in modo illimitato. Inoltre viola i diritti alla presunzione di innocenza, alla difesa e a un equo processo.