Mafia: beni confiscati, tempi troppo lunghi per iter destinazioni

Calabria Cronaca

I tempi lunghi della definizione dei processi e l'impatto della spending review rischiano di intralciare i meccanismi dell'Agenzia per i Beni Confiscati. È il dato che emerge da un convegno organizzato a Napoli dall'associazione "Ius et Gestio", che riunisce avvocati, dottori commercialisti, esperti e studiosi dell'istituto giuridico delle misure patrimoniali antimafia. In Campania il problema ha anche risvolti più preoccupanti, dettati dalla difficoltà di reimmettere nel circuito legale soprattutto le aziende e le società produttive. Dei 20 tentativi nell'ultimo anno di vendita di aziende confiscate alla criminalità solo 4 sono andati a buon fine e solo grazie a importi estremamente vantaggiosi. Attualmente l'Agenzia dispone di 3.995 beni da destinare e di questi il 65% presenta delle criticità dovute per il 50% al gravame di ipoteche, per il 15% costituiti da quote indivise, che solo recentemente possono essere cedute ai soci riconosciuti in buona fede, e per il 14% da altre pendenze giudiziarie. Il tema dell'aggressione ai patrimoni criminali resta tuttavia preponderante nella riuscita del contrasto alle mafie, ma una volta confiscati i beni è determinante accelerare i tempi per arrivare alla definitiva destinazione dei patrimoni. I risultati in questo senso, secondo il procuratore della Repubblica di Napoli Giovanni Colangelo sono "incoraggianti".

"Concentrare l'attenzione sul contrasto patrimoniale - spiega il magistrato - produce effetti significativi e di maggiore lunga durata". Fondamentale diventa poi la destinazione dei beni confiscati. "Il rischio - sottolinea il procuratore della Repubblica di Salerno Franco Roberti - è che possano ritornare alla malavita attraverso prestanome e aste giudiziarie. Per questo bisogna evitare dove possibile la vendita e coltivarne invece l'uso sociale". In Campania sono 347 le aziende definitivamente confiscate. Si va dai ristoranti agli hotel, fino a ipermercati, catene di supermarket, bar, sale scommesse, centri benessere, imprese edili, perfino un asilo nido. Gianpaolo Capasso, responsabile della sede di Napoli dell'Agenzia Nazionale per l'amministrazione e destinazione dei Beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata spiega che le imprese si trovano soprattutto a Napoli (180), poi a Caserta (77), Salerno (75), Avellino (10), Benevento (5). Poco meno di un centinaio attendono ancora l'affidamento in gestione, soltanto una decina sono ancora attive. Il quadro nazionale vede invece la Sicilia detenere il primato del numero dei beni sequestrati. "Sono circa 5mila - dice - e la provincia di Palerno da sola ne conta 3.200. Anche la distribuzione geografica vede il Sud prevalere, con 80% dei beni, seguito dal Nord che rappresenta il 14% e dove la Lombardia registra nell'ultimo anno una crescita esponenziale".

Per il neo procuratore della Repubblica di Reggio Calabria Federico Cafiero de Raho negli ultimi anni la lotta alla criminalità ha disarticolato la forma "militare". "Ma abbiamo lasciato sostanzialmente inalterata - aggiunge - la forza della camorra, perchè la vera camorra, quella che crea pericolo alla società è quella che si muove nell'economia, nelle pubbliche amministrazioni, nella politica. Proprio per questo l'aggressione ai patrimoni costituisce uno strumento fondamentale per contrastare la criminalità sul campo". Nella lotta alle organizzazioni criminali, secondo il procuratore aggiunto di Torre Annunziata Raffaele Marino è importante rivedere anche il principio di pericolosità criminale contenuto nel codice penale. "Ci rifacciamo a un codice del 1921 - spiega - che è basato sul concetto di bene privato e non di bene comune. Chi inquina, deturpa il territorio, per esempio, è punito con una semplice contravvenzione. Il danno che produce si diffonde nel tempo e sulla comunita'". (AGI)