Campana: identità agroalimentare, fermare truffe

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Identità agroalimentare, la Calabria senza eccellenze ha meno appeal. Da tutti i punti di vista. Ecco perché vanno tutelate e promosse le tipicità. Bisogna intervenire sulle normative sulla regionalità e italianità dei nostri prodotti. Va stimolata la cooperazione tra i produttori. Tutti ne trarrebbero vantaggio. Qualità e autenticità, territorio per territorio, sono elementi essenziali da difendere contro la cultura del falso e della truffa che imperversa anche e soprattutto nella nostra regione, per poter competere nei mercati nazionali e internazionali. Due esempi positivi su cui investire: la Podolica ed il maialino nero di Calabria.

L’allarme è ribadito dal Sindaco Pasquale Manfredi che aderisce, fa propria e rilancia la grave denuncia fatta qualche giorno fa da Silvio Greco, docente di produzioni animali presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (BRA), l’ateneo fondato da Slow Food. – Greco non ha esitato a definire le tipicità calabresi un grande imbroglio. Le nostre eccellenze – spiega Manfredi – rappresentano una fetta importante della nostra economia, di quella attuale e di quella potenziale. Specialmente in un periodo di recessione come quello che stiamo vivendo. Un esempio, la Podolica, la razza autoctona bovina, soprattutto per le aree interne e marginali come Campana, rappresenta uno dei pochi autentici fattori di sviluppo. Le normative devono essere chiare e ferme – conclude – e bisogna cercare di fare in modo che anche le etichette siano altrettanto chiare e facilmente leggibili per individuare subito se il prodotto è stato fatto in Italia e con prodotti italiani.

Sono tanti e diversi i casi esemplari di produzione tipica vittime di truffe analizzati da Greco, già assessore regionale all’ambiente, sull’ultimo numero di Corriere di Calabria. – Tra i principali responsabili nazionali di Slow Food, Greco punta il dito anzi tutto contro l’inganno dell’olio d’oliva. Che – scrive – non esiste: o è extravergine o non è d’oliva. All’olio dei ristoranti – spiega – è preferibile un non extravergine e non prodotto con olive locali perché oltre ad essere, di solito, olio di Palma con acidi e grassi saturi, nuoce alla salute consumatore ed all’immagine della Calabria. Il settore olivicolo è fortemente minacciato. In una operazione della Guardia di Finanza è stato sequestrato circa mezzo milione di tonnellate d'olio taroccato di pessima qualità pronto per essere smerciato per extravergine o biologico. Sono state coinvolte tante regioni tra cui la Calabria. Nella Top five dell’Unaprol, tra i 5 olii locali extravergini certificati, non c'è produzione calabrese. 7 campioni su 9 indicati come extravergine, non lo erano.

E, il paradosso, è che il nostro olio rappresenta più di ¼ del nostro mercato. Così come il caso sardella. Dopo le normative europee che ne vietavano la pesca, il mercato è stato invaso dal pesce ghiaccio, specie adulta di acqua dolce importata in blocchi direttamente dalla Cina. Per non parlare del peperoncino di Calabria, coltivato solo Soverato e sul Monte Pro, mentre tutto il resto del lavorato si basa sull'import. La denuncia di Greco continua spietata e documentata. Il Pecorino del Monte Poro e il Fico Dottato cosentino, entrambi ex Presidi Slow Food, sono stati depennati dalle eccellenze calabresi, perché contenevano materie prima e non autoctone. Senza contare quella che viene definita “orto-truffa”. Specialmente nelle produzioni IGP/DOP il nucleo anti-frodi ha sequestrato oltre 240 mila euro per irregolarità riscontrate. E in Calabria – spiega – vengono lavorate materie prime comprate in Spagna, Marocco e Tunisia. Così non si va da nessuna parte.