Continuano le presentazioni del libro della poetessa Angela Caccia
Continuano le presentazioni del secondo di libro di poesie di Angela Caccia, Nel fruscio feroce degli ulivi, edito nell’aprile 2013 dalla Fara di Alessandro Ramberti e prefato da Davide Rondoni. La prossima tappa sarà nel mese di ottobre a Cosenza, relatrice Teresa Caligiure Dottore di ricerca Unical.
Nel contempo l’autrice ha già messo mano alla redazione del suo terzo libro le cui liriche, sia in silloge che singolarmente, lanciate in concorsi per l’inedito, stanno raccogliendo frutti: premio Corrado Alvaro conferito dall’Accademia Giacomo Leopardi di Reggio Calabria, la premiazione è prevista per il 27 ottobre; selezione della lirica ‘Le braccia allungate’ al Gran Galà di Poesia che si terrà il 21 settembre a Rende; la silloge “Di seme e di terra” è già finalista al concorso letterario Scarabeus, nel corso della cerimonia di premiazione, prevista per il 26 ottobre a Livorno, si saprà a quale dei tre posti è risultata.
Arriva qualche lusinghiera conferma anche per l’edito: è di pochi giorni fa la notizia, comunicata dalla Dott.ssa Chiara Novelli dell’Associazione Culturale ‘La città di murex’, che il libro, Nel fruscio feroce degli ulivi, ha vinto il primo posto assoluto nel concorso letterario ‘Città di parole’, patrocinato dal Comune di Firenze e dall’Aics, la cerimonia di premiazione si svolgerà il 20 ottobre 2013 a Firenze, presso la sala meeting Blu dell’hotel Croce di Malta.
Tra le tante che hanno gratificato il libro della Caccia, proponiamo la recensione di Giulio Gasperini, tratta dalla sito di cultura on line Chronica Libri.
AOSTA – La ricerca poetica è ricerca spirituale: il fine della poesia di Angela Caccia è lampante e palese. Nella sua silloge “Nel fruscio feroce degli ulivi”, edito da Fara Editore nel 2013, la Caccia squaderna la potenza della sua parola poetica nella contemplazione del metafisico, nella ricerca di evidenti prove dell’esistenza d’un particolare (e specifico) altrove. Ma ogni prova, ogni dato d’evidenza, è coraggiosamente vagliato dalla ragione, che non perde mai il suo ruolo di referente ultimo: il pensiero è filo guida, anche quando le istanze profonde, i richiami più urgenti oltrepassano il sensoriale, l’empirismo, lo spiegabile e il comunicabile. E la parola ricerca lo spessore: “Parole parlanti le tue / parole scritte in fuga”; lo cerca sulla pagina bianca, sul campo d’arare della letteratura: “È campo di battaglia il foglio”; lo ricerca nella materia più terrestre, nella dimensione più terrena, quella che è più sincera e naturale: “Parole vere / le più terrose”. E lo cerca in relazione a un interlocutore, un tu che cambia spesso forma, come dune nel deserto: se spesso pare la poetessa rivolgersi a Dio, altre volte chiaramente l’interlocutore è più fisico, maschile, definito nella sua identità (“Ora sei altro da me / ora sei l’uomo che io sognavo / e tu non speravi. Ho spinto il tempo / e lui ti ha colmato di sé”).
Le immagini sono attinte, come capita sovente in questi anni, dalla realtà quotidiana; ma è una realtà particolare, per certi tratti remota, con pennellate di “sai di cielo e / di bucato sulle corde”. C’è il ricordo, la reminiscenza di interni intimi e caldi, profumati di umanità: “Terrò il / focolare sempre acceso e grappoli di cipolle / ed erbe secche ai muri”. Ma oltre la soglia c’è comunque il mondo; e il mondo è il luogo dove si concretano le scoperte; ma è anche il luogo della gioia, del benessere: “Nei rumori familiari della strada / una gioia sottile / rimbalza dai marciapiedi alle case”. È una ricerca di grande libertà, una spinta non all’evasione ma all’espansione: “Solo al vento / sarà dato scollinare le frontiere?”. La fiducia nell’estensione è totale, attraverso l’utilizzo delle parole e della comunicazione; si rifiuta il silenzio fine a sé stesso, un silenzio che non sia meditazione, ma come Giovanni si preferisce urlare nel deserto: “”Lancia in alto le sillabe / e ricadranno pietre / a frantumare i muri”.
La materia poetica è tratta in grande quantità dal Vangelo, dalle sue immagini e dalle sue parabole: “È chiarore di vita […] / è il chicco di grano che torna a cadere nel solco”. Ed esattamente come nel Vangelo, la portata di umanità travolge il mondo in ogni sua attesa e aspettativa, cercando soluzioni e continuità alla Storia umana più estesa: ecco che compaiono le poesie “I giorni sottili (pensando al terremoto in Emilia)”, “Lettera alla mafia (in memoria di Falcone e Borsellino)” e “A Giovanni Paolo II”. La Storia non intasa, non soffoca la continua ricerca, l’esplorazione oltre ogni gradino, ma la rende solo più feconda, più abbondante e nutriente; tutto si fonde in una sorta di “geografia spirituale” che alimenta la domanda e concede il tentativo di risposte: “E saprà ancora farsi primavera”. L’origine del tutto è una scintilla, che esplode “nella penombra di una grotta”, e la nostra crescita rappresenta la costante evoluzione verso un approdo ultimo, dove ci sia la certezza di aver compiuto un percorso di crescita intima e personale, ma che metta in rapporto anche con la società e l’alterità: “Qualcuno approda dove la coscienza si fa porto”.