Teatro: il Morelli ospita lo spettacolo “Bruciata…Vive!”
La stagione teatrale della residenza “More” , prima di inaugurare il suo nuovo cartellone, ospita la compagnia teatrale DiciassetteBi, partner del progetto di residenza, con il suo nuovo spettacolo “Bruciata…Vive!” - drammaturgia originale di Carmelo Giordano (che è anche regista e interprete insieme a Vicky Macrì) da “Bruciata viva – vittima della legge degli uomini”, libro autobiografico della scrittrice palestinese Suad- in scena al Morelli venerdì 24 gennaio alle ore 21,00. Il costo del biglietto è € 10 posto unico.
DiciassetteBi nasce nel 2010 all'interno del Corso di Laurea in Disciplina delle Arti, Musica e Spettacolo dell'Università della Calabria, da cui prende anche il nome. 17b è infatti il numero del cubo sede del Corso di Laurea. La formazione universitaria si è aggiunta alle esperienze teatrali dei soci fondatori che, in tempi diversi, avevano avuto approcci differenti con il Teatro, sia da attori che nel settore della drammaturgia e della regia. I componenti hanno seguito laboratori di formazione con i più importanti teorici italiani contemporanei: Gabriele Vacis del Laboratorio Teatro Settimo, Massimo Munaro del Teatro del Lemming, Alessandro Garzella e Fabrizio Cassanelli della Fondazione Città del Teatro, Armando Punzo della Compagnia della Fortezza di Volterra, Saverio La Ruina, Francesco Suriano, Lindo Nudo, Peppino Mazzotta.
La storia di Suad
Suad, giovane cisgiordana, sta facendo il bucato nel cortile di casa quando sente sbattere una porta alle sue spalle. È il cognato, che le rivolge una frase scherzosa. Suad si volta per replicare ma, all'improvviso, il suo corpo è intriso di un liquido freddo che in meno di un secondo diventa fuoco. Bruciata viva, è questa la punizione inflittale dalla famiglia, lesa nel suo onore, per aver commesso il peggiore dei peccati, essere rimasta incinta prima del matrimonio. Perché nel villaggio in cui è cresciuta le donne non possono andare a scuola, non possono vestirsi come vogliono, non possono guardare un uomo negli occhi. Il loro destino è occuparsi delle mansioni più umili, al servizio di padri e mariti. Nonostante le ustioni di terzo grado che la ricoprono, Suad riesce a salvarsi. Con l'aiuto di un'organizzazione umanitaria fugge in Europa. Da qui, con indosso una maschera che protegge e nasconde il suo viso deturpato dal fuoco, racconta al mondo la sua storia, sfidando la legge degli uomini e la loro sete di vendetta.
Note di regia
“Per me Suad comincia da un commento sul Web. In un forum, fra i commenti alla recensione del libro, qualcuno, un maschio, ha scritto solamente che era «facile parlare degli aspetti negativi della Cisgiordania, ignorando tutti i suoi lati positivi» e che comunque «anche se era vero che c’erano ancora usanze tribali, queste erano confinate in villaggi sperduti e lontani dai flussi turistici». Ecco! Quell’unico commento mi infastidiva, non perché fosse negativo, ché ognuno ha il diritto di pensare ciò che vuole, ma perché era indifferente. Come se anche uno solo dei momenti della vita di Suad giovane, nel suo mondo, in quello piccolissimo che conosceva, e che era il suo villaggio, con la sua legge, la legge degli uomini, potesse essere trattato come un fatto secondario.
Ho approfondito il testo e il racconto di Suad è risultato terribile, per tutte le azioni che affollano gli spazi fra le parole; azioni che ti stringono allo stomaco indipendentemente dal genere, ma che risultano dirompenti se a pronunciarle è una donna.
Ho voluto, allora, mettere in scena l’orrore, il terrore, la violenza e la sottomissione, che è la vita quotidiana, giorno dopo giorno, di donne la cui colpa è unicamente essere nate, femmine, in un luogo in cui una femmina vale meno di una pecora. Ognuna di queste suggestioni, ognuna di queste emozioni deve nascere, necessariamente, dalle parole; trovare tridimensionalità dalla consapevolezza che, per chi racconta, quelle parole sono state, effettivamente, azioni subite, dolori provati, assuefazione ad una normalità che in altri mondi non sarebbe nemmeno pensabile. A tutto questo si contrappone l’indifferenza, la banalizzazione, la lontananza, che diventano omertà, negazione di fatto e rifiuto di considerare che, nella quotidiana rincorsa alla normalità fatta di edonismo ed apparenza, nello stesso istante, in un altro luogo, si vivono e in modo fisico, non virtuale, scene di schiavitù ordinaria, normale anch’essa e che, per una che riesce a venirne fuori, anche con mutilazioni irreversibili, del corpo e della psiche, migliaia di altre donne subiscono, in silenzio, senza alcuna ribellione possibile.
Bruciata…Vive! È il racconto di una fine, terribile ma necessaria, perché ci sia una rinascita che consenta di raccontare la vita precedente, denuncia che spinga a prendere coscienza e posizione, anche personale.
Girare gli occhi dall’altra parte e rifiutare la possibilità stessa che il fatto avvenga, è complicità offerta al violento”.