Arte: a Lamezia “Galleria Muta” personale di Paolo Scarfone
Apre giovedì 17 Aprile, presso il Be//Cause Art Space di Lamezia Terme alle ore 19:00, Galleria Muta, la personale di Paolo Scarfone (1989, Catanzaro), a lavoro nella concretizzazione di una riflessione fenomenologica sul linguaggio e l’intrinseco campo comunicazionale.
Laddove il linguaggio è un codice, ovvero un insieme di informazioni e interazioni che utilizzano simboli con identico valore per individui appartenenti ad uno stesso ambiente socioculturale, Paolo Scarfone prende in considerazione i linguaggi, nella loro diversità e nelle sottrazioni di senso che impossibilitano un autentico scambio relazionale.
Ogni parola coincide con una varietà indefinita di esperienze, quindi è passibile di una soggettività diversificata dalle altre, poiché propria di ogni interlocutore che la interiorizza e la traduce a sua volta nella sua mente. Infatti Paolo Scarfone sostiene che: “Nessun termine avrà la stessa identica valenza per due individui nel mondo, anche la cosa più tecnica e oggettiva sarà interiorizzata con un colore, uno stato d’animo, un carattere totalmente personale”.
Quindi l’analisi portata in mostra è l’emblema del non-sense relazionale. Un reale problema di comunicazione legato ad una serie di sottrazioni, che rappresentano la solitudine di colui che parla, impegnato a farlo innanzitutto con se stesso, e di colui che ascolta, intento a proiettare le parole dell’altro su se stesso e il proprio vissuto, illudendosi così di comprenderlo.
Quindi sbaglia chi è convinto che le immagini e la gestualità rappresentino il grado zero della comunicazione: valeva per gli uomini delle caverne, ma ad oggi ogni elemento è sovraccarico di informazioni, quindi non univoco di senso. Per tanto l’uso del linguaggio e la sua comprensione si basa su un ossimoro concettuale che in Galleria Muta diviene anche estetico. Se si considera che il cardine della mostra sono le aggiunte visive che non fanno altro che sottrarre senso inerente alla riflessione dell’opera, si comprenderà da sé l’origine e la scelta del titolo.
Galleria Muta si compone di più parti, ognuna delle quali presenta opere realizzate su carta fatta a mano: questo è il filo conduttore di elementi apparentemente discordanti, atti a presentare un processo sentito, quindi una reale e pregnante presenza. Realizzare la carta con le proprie mani racconta una storia, insita nei gesti che il materiale richiede, assecondandone le dilatazioni temporali, ormai completamente avulse dal nostro essere.
E poi in ciò vi è la pretesa accettazione, per noi troppo abituati a controllare tutto, dell’imprevedibilità della materia nelle trasformazioni in corso d’opera: nell’oscillazione tra il ponderato, il deciso, e l’incontrollabile. Tutto ciò innesca un rapporto con la carta, di gran lunga più diretto e onesto che con una semplice carta da supporto.
La triade, Anagrammi Esistenziali, veDIo e Matrioska, analizza le problematiche comunicative legate a linguaggi usati da chi è privo di uno o più sensi (Braille, LIS e LORM): sulla carta i simboli si affollano, contraddicendosi concettualmente nell’affermazione di una presenza puramente estetica. In particolare Anagrammi esistenziali consiste in 14 fogli di carta fatti a mano, aventi segni prodotti in filigrana, dunque privi di porzioni di materia: non c’è aggiunta, ma solo mancanza.
I fogli sono disposti in due file e i segni, espressi in linguaggio LIS, riportano il termine SENTIRE e il suo anagramma ESTERNI, le cui connessioni e/o divergenze sono totalmente ad appannaggio della sola estetizzazione della ripetizione. Ed è la carta ad accentuare questa discrepanza, mostrando la purezza delle fibre, che a loro volta testimoniano la mappatura del processo di realizzazione e quindi di un tempo che non è più.
Diverso è l’approccio in Appartenenza, dove è preponderante l’uso dei nuovi media: l’artista avvalendosi dell’applicazione Google Maps, ricerca i luoghi dell’infanzia, che nel suo lavoro vengono svuotati di ogni memoria personale. È una mappa astratta, confusa, priva di vita per la presenza di una moltitudine di paesaggi tanto piccoli da non essere percepiti.
Appartenenza è, già dal titolo, l’antitetico urlo di chi sottolinea una mancanza, un’assenza: ma rimane una storia senza voce, poiché incomunicabile a chi non condivide stesse memorie, per chi non conosce noi e la nostra storia, per chi ignora i nostri luoghi. Ciò che per l’artista ha un valore sentimentale viene così spersonalizzato, e paradossalmente appare più vicino all’estraneo, all’interlocutore, che non a chi ne parla.
In conclusione, e volendo sintetizzare, si dirà che Galleria Muta mostra un’annientata identità linguistica nella generale massificazione che la priva di senso. A noi non rimane che parlare in una Galleria Muta.