Riorganizzazione Enti, il documento di Cgil, Cisl e Uil
Riceviamo e pubblichiamo il documento sottoscritto dalla Cgil Fp, Cisl Fp e Uil Fpl in merito alla mobilitazione avviata per la riorganizzazione degli Enti.
"Parte oggi la mobilitazione di FP-CGIL CISL-FP UIL-FPL per un processo vero di riforma delle amministrazioni territoriali. Un percorso di riorganizzazione degli enti, che intenda il riordino territoriale come parte integrante di una sfida dai contorni ben più ampi e le trame più complesse: ricostruire il raccordo tra modello amministrativo e tessuto produttivo per restituire legittimità e prospettiva al lavoro pubblico come “produttore di valore” e alla P.A. come volano di crescita per cittadini, famiglie e imprese.
FP-CGIL CISL-FP UIL-FPL, attraverso una vertenza a sostegno di 5 azioni concrete, vogliono lanciare una sfida al Governo nazionale e a quelli locali: attivare subito la partecipazione dei lavoratori attraverso il confronto sulle funzioni da trasferire, sui nuovi assetti e sugli strumenti contrattuali. La nostra iniziativa vuole essere un grido di allarme alle istituzioni e una proposta di nuova alleanza ai cittadini e alle imprese che chiedono alle amministrazioni territoriali risposte alle troppe richieste rimaste inevase e una protezione contro la crisi e le emergenze sociali.
Cosa dobbiamo cambiare:
Incertezza su livelli amministrativi e funzioni. L’immobilismo della politica dopo l’approvazione del Protocollo dell’19 novembre 2013 e della legge Delrio (L. 56/2014) e la mancata attuazione del percorso partecipato per il riassetto territoriale hanno lasciato aperte questioni decisive: la chiara definizione delle funzioni da attribuire agli enti locali, la determinazione degli ambiti ottimali di esercizio per ciascuna funzione, la riorganizzazione della rete territoriale dei servizi, la ricognizione delle competenze professionali (presenti e da acquisire) per l’erogazione di servizi avanzati, sostenibili, di qualità.
Aumento di spesa e tasse locali. Il decentramento seguito alla riforma del titolo V del 2001 (L.Cost. 3/2001), risoltosi in una moltiplicazione dei centri di spesa anziché in un federalismo responsabile, ha fatto lievitare i costi di funzionamento degli enti territoriali dai 148 miliardi di euro del 2001 ai 206 miliardi del 2013 (+39%). Allo stesso tempo il livello delle imposte locali (dirette e indirette) è esploso passando in due decenni da 18 a 108 miliardi di euro (+500%), senza peraltro alcun miglioramento nei servizi alle comunità locali. A questo vanno poi aggiunti i risultati di gestione negativi delle 4.264 società partecipate dagli enti locali, le cui perdite sono finite dritte nei bilanci degli enti e pagati ancora una volta dai contribuenti.
Tagli al personale. Blocco del turn-over, tagli alle risorse e vincoli rigidi dei piani di stabilità interni hanno portato ad una riduzione del personale in servizio nelle autonomie locali di 49mila unità (-7%). Con due evidenti risvolti negativi sul welfare locale: il mancato investimento nelle nuove professionalità necessarie; l’invecchiamento del personale (l’età media è di quasi 50 anni); il ricorso, spesso improprio, alle forme di lavoro flessibile (tempo determinato, formazione lavoro, interinale, Lsu, cocopro) che nel 2012 è pari a quasi 75mila unità.
Limiti alla produttività. La produttività del settore pubblico calcolata come rapporto tra valore aggiunto e ore lavorate è gravata da un lato (il numeratore) da corruzione, spesa improduttiva, consulenze, ma anche costi impropri; dall’altro lato (il denominatore) dai costi amministrativi, dalle procedure farraginose, da un processo di digitalizzazione mai portato a termine. Da fattori cioè che dipendono dalla politica, ma che passano attraverso la Pa, e gli enti locali in particolare, incidendo sulla performance degli enti ben più del costo del lavoro o del rendimento degli investimenti.
Rigidità del modello organizzativo. L’alternativa pubblico-privato ha mostrato in questi anni tutti i suoi limiti. La rigidità dei vincoli imposti agli enti locali (a partire dai patti di stabilità) ha portato a trasferire all’esterno l’erogazione anche di servizi cosiddetti “core”. Se un ente pubblico non è in grado di assumere personale per una funzione specifica, nonostante abbia i bilanci in regola, è costretto ad appaltare all’esterno l’esercizio della stessa funzione. La stessa rigidità si riscontra nell’organizzazione interna degli enti territoriali, dove il permanere di un modello gerarchico, la presenza di una dirigenza troppo spesso scelta e influenzata dalla politica e l’assenza di indicatori di misurazione della performance e del merito ha rallentato l’innovazione e ingessato i servizi.
Come dobbiamo cambiare:
Avviare cabine di regia. Il processo di ridisegno degli assetti territoriali deve ripartire subito attraverso l’avvio di cabine di regia, nazionale e locali, per la definizione delle funzioni da attribuire a ciascun livello amministrativo (Comune, Provincia, Città metropolitana, Unione di comuni) in base alle specificità di ciascun territorio. Alle cabine di regia - costituite da rappresentanti di istituzioni, politica e parti sociali - deve essere affidato il compito di: individuare i servizi richiesti in base alla configurazione sociale, economica e produttiva del territorio; individuare gli ottimali per l’esercizio delle funzioni; ridisegnare la rete dei servizi; definire i fabbisogni di competenze e professionali necessari garantendo flessibilità organizzativa, tenuta dei livelli occupazionali, formazione e qualificazione del personale. Vale a dire un piano industriale vero dei servizi al territorio.
Applicare costi standard a tutti gli enti locali e centrali unificate di acquisto regionali. Occorre procedere all’applicazione del criterio dei fabbisogni e costi standard a tutte le funzioni fondamentali di Regioni, Province, Comuni e Città metropolitane, a partire dalla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni. Allo stesso tempo la pletora delle stazioni appaltanti e degli uffici acquisto deve essere drasticamente ridimensionata: una centrale unificata di acquisto in ogni regione.
Turn-over generazionale. Le norme sul turn-over contenute nel decreto di riforma del Governo (approvato dal cdm del 13 giugno 2014), pur migliorate rispetto al passato, nascondono in realtà un nuovo taglio agli organici: nei prossimi 4 anni (2014-2017), nelle sole autonomie locali, andranno in pensione 43mila lavoratori. A fronte di questo, e senza calcolare i vincoli di spesa dei patti di stabilità, la possibilità di assumere non supererà le 30mila unità. Ciò significa che l’inserimento di giovani e nuovi profili non sarà solo insufficiente, ma anche a saldo negativo rispetto ad organici già ridotti. Tanto più nel momento in cui il governo regala alla politica la possibilità di assumere un 30% in più di dirigenti scelti anche dal privato. Una contraddizione che si somma alla previsione di una mobilità dei lavoratori in un perimetro di 50 chilometri: una paradossale “mobilità delle carenze”. Serve un reale turn-over generazionale con almeno 50mila giovani da collocare all’interno di una nuova rete dei servizi, per portare innovazione, velocità, cambiamento organizzativo in un welfare locale disegnato sui bisogni e finalizzato allo sviluppo. Allo stesso tempo occorrono percorsi reali per dare certezza ai lavoratori precari, compresi i lavoratori delle provincie.
Innovare con la partecipazione. L’innovazione organizzativa deve essere perseguita attraverso la possibilità per i dipendenti, insieme a utenti e contribuenti, di entrare nel merito di come deve essere organizzato e funzionare il servizio, di che cosa deve essere soppresso, cambiato o denunciato come illegale. Piani di riorganizzazione obbligatori in ogni ente e rilancio della contrattazione integrativa sono gli strumenti da attivare.
Rilanciare la contrattazione. L’ingiusto blocco dei ccnl, che dura ormai dal 2010, deve essere superato. Il salario accessorio in godimento dei lavoratori non può essere toccato: i dipendenti degli enti locali non devono pagare per la cattiva gestione dei bilanci, la mancata trasparenza e un sistema di controlli carente che penalizza la certezza delle risorse. Va recuperata la funzione organizzativo/sociale del contratto integrativo valorizzando quegli aspetti dell’organizzazione del lavoro e dei servizi legati alle specificità territoriali. Perché la domanda sociale, economica, di sicurezza e di salute espressa da un comune capoluogo, o a maggior ragione da una metropoli, è diversa rispetto a quella di un piccolo comune collocato in area morfologicamente disagiata e richiede l’attivazione di strumenti flessibili e modellati su esigenze organizzative necessariamente diversificate.
Da queste proposte parte la mobilitazione anche dei lavoratori crotonesi per il rilancio dei servizi al territorio, per il benessere e la crescita delle comunità locali.
Le Federazioni Provinciali di FP CGIL, CISL FP e UIL FPL, informano le SS. LL. che avvieranno una mobilitazione capillare in tutti gli enti e chiedono
un urgente incontro a tutti i Sindaci ed al Presidente della Provincia di Crotone, consapevoli che dal confronto con le istituzioni e la società civile dovrà partire una nuova stagione di partecipazione e cambiamento.