Nota stampa Emilio De Masi sul Consiglio regionale di lunedì 21 luglio
"Non sembrano scrutabili presupposti credibili al dibattito sui fondi comunitari che vedrà impegnato il Consiglio lunedì prossimo. Non potendovi partecipare a causa di ragioni personali, reputo doveroso un contributo che avverta della decisività di un’occasione propizia di futuro che rischiamo di sperperare ancora una volta. Forse definitivamente". E' quanto scrive in una nota il consigliere regionale Emilio De Masi.
"Per ciò che riguarda la Programmazione Unitaria Regionale 2007/2013 - continua la nota - la complessiva spesa è certificata mediamente per un importo che si attesta al di sotto del 50% degli obiettivi finali. E’ la media derivante dal 63% per il FSE e dal 40% del FESR. Né va sottovalutata la suscettibilità di decertificazione della spesa a causa di non improbabili artifici o irregolarità appurati dalla C.E.
Ma ciò che maggiormente desta, al contempo, delusione e rabbia è il nuovo ciclo di Programmazione Unitaria Regionale che dovrebbe costituire il quadro organico di strategie, piani e programmi, tra loro coerenti ed allineati, che la nostra Regione ritiene di attuare nel prossimo settennio allo scopo di promuovere un reale processo di ammodernamento, di crescita e di sviluppo affrancandosi da isolamento, arretratezza, illegalità e povertà.
Una strategia da fondare su idee e regole chiare, la cui sostenibilità si basi sull’inclusione, sulla partecipazione e su condivise pratiche di governo, coinvolgenti integralmente territorio e comunità calabresi. La Commissione Europea propugna un’azione di ascolto e condivisione della comunità territoriale sulle nuove regole di governo e di spesa adottate dall’U.E. per il nuovo ciclo di programmazione 2014/2020. Il valore della consultazione è del resto universalmente accettato come viatico obbligato per il conseguimento di un’effettiva strategicità degli interventi cofinanziati dai Fondi strutturali e di investimento europeo.
Tutto sostanzialmente disatteso qui in Calabria. L’idea “comunitaria” dei calabresi, benché non qualificabile quale dato statistico, avrebbe dovuto fornire un contributo significativo nella costruzione del processo di identificazione delle necessità e dell’impatto delle azioni amministrative e politiche da intraprendere. La partecipazione è stata limitata ai soggetti rappresentativi, certo imprescindibili ma insufficienti per il completamento del sistema di cittadinanza: di fatto monco in assenza, nella fondamentale fase decisoria, dell’ascolto attivo dei cittadini e della loro inclusione.
Una contestuale consultazione pubblica on line avrebbe propiziato il recepimento di idee, proposte, suggerimenti utili favorendo commenti e confronti sulla azioni da programmare oltre ad indurre circolazione dell’informazione, conoscenza di diritti e doveri, diffusione della responsabilità sociale, coesione.
In altre Regioni si è dato luogo ad un processo di ascolto pubblico che ha coinvolto giovani, educatori, professionisti, scuole, quartieri, imprese, insomma la comunità nella sua più ampia strutturazione. Se lo si fosse fatto anche qui, si sarebbe conferita qualche opportunità in più ai calabresi di liberazione da malesseri e disagi profondi che deturpano la loro cittadinanza e ne offuscano il futuro. E dunque, la parabola della nuova programmazione 2014/2020 risente consistentemente del diffuso clima di sfiducia e scoramento delle dinamiche sociali di questa regione, sostenuto da una sorta di incomunicabilità tra istituzioni e cittadini se non da vera ostilità tra questi e la politica. Tutto ciò è testimoniato dall’approccio squisitamente tecnico-attuativo conferito al Programma e interamente vocato alla “ spesa sicura” e alla scrittura preventiva dei “risultati attesi”.
Con lo schema di PO che viene presentato, la Regione sembra quasi abdicare all’esercizio di una delle sue prerogative primarie, quella della programmazione e dell’indirizzo strategico. E rimane impropriamente e un po’ goffamente impegnata lungo il consunto solco gestionale e distributivo delle risorse. Dall’articolazione degli 11 obiettivi tematici del DOS, approvato nel marzo scorso, si evince l’analisi delle nuove politiche pubbliche di intervento preceduta da un capitolo dedicato alle “lezioni apprese” dal precedente ciclo di programmazione. Tra i dati ricorrenti si rinvengono carenza di programmazione e pianificazione settoriale, vuoi in materia ambientale che energetica, dei trasporti, inclusione sociale e lavoro. Una sorta di sottesa autodenuncia da parte della Regione di limiti che contemplano capacità strategica dell’esecutivo, regolare e coerente attività legislativa senza risparmiare sistema amministrativo e burocratico.
QTR, Piano Energetico, Piano Trasporti ecc. sono la rappresentazione plastica delle lacune pianificatorie oltre che la certificazione dell’assenza di strategia unitaria di sviluppo regionale alla base della nuova programmazione 2020. Un’analisi di contesto che andrebbe responsabilmente completata, almeno nella seduta “ratificatoria” del Consiglio, dalla rappresentazione dei dati ufficiali sulla spesa comunitaria certificata della Calabria dei Fondi 2007-2013, decaduti a insignificante merce di uno scontro politico innaturale, tanto per non indulgere a una più esplicita didascalia.
Continua insomma a mancare un’anima al nuovo PO. Non è percepibile neanche un segno fioco di discontinuità con il passato. Le innovazioni metodologiche promosse dall’UE e richiamate nel programma restano prive di riscontro soprattutto per mancata funzionalità tra i diversi Assi. E dunque non appare conseguibile una strategia unitaria in grado di fronteggiare organicamente le emergenze che brutalmente lacerano il tessuto socio-economico della Calabria e forse escludono la speranza dal sentimento stesso della comunità, specialmente giovanile.
Auspico - conclude De masi - che il Consiglio di lunedì, avvertito della decisività per il futuro della migliore utilizzazione possibile degli 11 miliardi disponibili, attesti, malgrado tutto, con solennità istituzionale la ferma indicazione perché si rimedi, essendo ancora possibile farlo, a ciò che in definitiva altro non è che un deficit di democrazia".