Altomonte festival, in scena il dramma di Cetta Cacciola

Cosenza Tempo Libero

Per la prima volta un teatro calabrese ospita il dramma di Cetta Cacciola, la “donna – coraggio” uccisa dalla ‘ndrangheta. Lo fa in un teatro che apprezza e applaude, si commuove davvero e che alla fine, alzandosi in piedi, trova il coraggio di rompere “l’omertà” che sembra regnare intorno all’evento scenico.

È un dramma, d’accordo. Che però ha il coraggio di denunciare – con parole vere – il male assoluto da “estirpare” nella nostra beneamata Calabria.

Anche questa – se vogliamo – è una scelta: “O cu cui, o cu iddi”. Come dire: o con la delinquenza o con la giustizia. Una “scelta” che Altomonte e la propria Amministrazione comunale ha fatto, decidendo di portare per la prima volta su un palcoscenico calabrese l’evento-denuncia scritto a quattro mani da Enrico Fierro e Laura Aprati.

«Tutti sanno che esiste da alcuni mesi l’evento che racconta il dramma di questa donna, ma perché nessuno – tranne Altomonte – ci ha chiamato ha portarlo in scena?». È stata la domanda provocatoria di Fierro che ha aggiunto: «Guardando il panorama di questa cittadina ho pensato che non ha nulla da invidiare alla California: lì però non c’è questo “male che offusca” la Calabria!». Un male, la ‘ndrangheta, che uccide e provoca le morti più atroci come quella di Cetta Cacciola.

Lei, la figlia di quel boss della Piana che non trova il tempo di godersi la vita perché diventa una “infame”, come viene descritta dai suoi stessi familiari poi condannati. Una “pentita” che – secondo chi la porta al suo atroce suicidio – “baratta” la famiglia e quindi “l’orgoglio e la dignità dell’appartenenza mafiosa” per diventare una “collaboratrice di giustizia” confidando il tutto dinanzi ad un’altra donna, una “Marescialla” dei Carabinieri.

Da allora la Cacciola, praticamente, non vive più. Né tanto meno viene aiutata da quella madre, di appena 14 anni più giovane, che si occupa dei suoi figli ma non di lei e della sua sorte già scritta, una “sorte” che percepisce specie quando torna in famiglia …

Cetta Cacciola “rivive” nella magistrale interpretazione di Sylvia Di Fante, in una donna che si cala assolutamente nella parte, si commuove mentre legge le medesime parole della lettera che la “donna-coraggio” di Rosarno scrisse ai propri familiari.

La Di Fante interpreta, anche attraverso le note spesso angoscianti del maestro Paolo Damiani al violoncello, una donna forse già “corrosa” e “lacerata” dentro ancor prima che lo faccia quell’acido muriatico che rappresenta solo l’atto finale di un dramma autentico.

Autentico anche perché “O cu nui o cu iddi”, la cui “prima” è andata in scena lo scorso 18 maggio a Roma nell’ambito di “Dirittinscena” Festival teatrale Antimafie e dei Diritti Umani”, si avvale di audio e video (inediti) del processo Cacciola, tenutosi presso la Procura di Palmi nel 2013, con le voci e i volti di alcuni dei protagonisti della vicenda: il tutto grazie anche alla collaborazione della trasmissione Rai “Un giorno in pretura”.

Questa, in breve, è la storia di Cetta Cacciola: facciamo in modo che la Calabria non dimentichi troppo presto la sua atroce morte!