Bancarotta fraudolenta aggravata. Sequestrato centro fitness e wellness per un valore di 6 milioni di euro

Cosenza Cronaca
Il sequestro della piscina

L’operazione denominata “Scorpion Death” della Guardia di Finanza di Cosenza ha portato al sequestro di numerosi beni per un totale di 6 milioni di euro. Le complesse investigazioni di polizia economico-finanziaria, condotte dai finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria di Cosenza e coordinate dal Procuratore Capo della Procura della Repubblica di Cosenza Dario Granieri e dal Sostituto Procuratore, Giuseppe Cava, hanno portato al sequestro preventivo, per bancarotta fraudolenta aggravata, dell’intero complesso aziendale del più importante “centro fitness e wellness della Calabria” (così come definito sul proprio sito internet), per un valore di 6 milioni di euro.

Le attività dei finanzieri hanno consentito di censire diversi beni immobili a Rende, con impianti sportivi, macchinari, attrezzature, arredi, macchine d’ufficio, marchio del centro sportivo e avviamento commerciale, nonché uno yacht che sarebbe proprietà della società ed ormeggiato in un porto in provincia di Cosenza. La struttura posta sotto sequestro si estende su una superficie di oltre 10 mila metri quadrati e comprende, bar, ristorante/pizzeria, centro estetico, centro benessere, due piscine di cui una semi-olimpionica, campi da calcio, da tennis e da squash; nel giardino attrezzato provvisto di solarium naturale vengono organizzate, inoltre, serate-discoteca.

Secondo le indagini delle “fiamme gialle cosentine” in materia di reati fallimentari, l'amministratore pro tempore della suddetta società, D.S., 63 anni, avrebbe distratto dalla massa fallimentare consistenti valori di cassa e l’intero complesso aziendale, mediante l’utilizzo di "artefatti contratti di fitto d’azienda e false fatturazioni".

Nella “fase terminale” dell’azienda, che ormai da anni versava in una situazione di dissesto irreversibile, sarebbe stata costituita ad hoc una società, controllata dallo stesso nucleo familiare, che avrebbe dovuto assorbire la parte “finanziariamente sana” mediante un contratto di fitto d’azienda, al fine di proseguire l’attività d’impresa ed a scapito - saecondo la tesi degli investigatori - dei numerosi creditori e dell’Erario.

"D.S., amministratore di fatto nonché vero dominus delle fraudolente attività, non sarebbe nuovo a condotte simili", affermano gli inquirenti. Alla fine degli anni novanta è scattata un’operazione analoga, quando la società poi fallita avrebbe stipulato un contratto d’affitto d’azienda con una società riconducibile all’indagato principale. L’attività testimonia ancora una volta l’impegno e la professionalità della Guardia di Finanza in un settore specialistico e delicatissimo come quello fallimentare, dove la tenace opera dei Finanzieri costituisce l’ultimo baluardo a difesa degli onesti creditori e dell’erario.